Nones: «I Giochi sono l’apoteosi, dobbiamo  avere più visibilità» 

Intervista all’olimpionico trentino. 79 anni a febbraio, il campione di Grenoble ’68 racconta l’epopea organizzativa della Val di Fiemme, dalla Marcialonga del 1971 alle tre edizioni dei  Mondiali, fino a Milano Cortina 2026: «Noi e Anterselva siamo gli unici siti davvero sostenibili»


MAURIZIO DI GIANGIACOMO


Tesero. Il 1° febbraio Franco Nones compirà 79 anni. «E nel 2020 sono anche 50 di matrimonio». Per sua stessa ammissione, ad avere pazienza è stata la moglie Inger. Del resto, con quel terremoto di marito: campione olimpico nel 1968 a Grenoble, Nones è stato protagonista – una volta riposti gli sci in cantina – della straordinaria epopea organizzativa della “sua” Val di Fiemme che – partita nel 1971 con la Marcialonga, proseguita con le gare di Coppa del mondo e tre edizioni dei campionati mondiali – vive in questi giorni una prima celebrazione dell’assegnazione olimpica con la tre giorni del Tour de Ski. Nel 2026, poi, sarà apoteosi a cinque cerchi.

Nones, cominciò tutto con quella prima Marcialonga?

Sì, con la Marcialonga, con il Topolino, con la prima edizione dei Mondiali nel 1991. Già allora godevamo di grande credito all’estero, non dovemmo mica candidare tre o quattro volte: alla seconda candidatura arrivò l’assegnazione. Io facevo ancora parte della commissione Fis, presentati il presidente Malossini a tutto il mondo dello sci nordico. Poi fui vicepresidente di De Godenz nelle altre due occasioni.

I Giochi olimpici invernali, però, saranno l’apoteosi.

Dal punto di vista strettamente tecnico, non saranno altro che un quarto Mondiale, ma l’Olimpiade è un evento di portata molto superiore, hanno un’altra visibilità, in tutto il mondo.

A proposito di visibilità: Trentino e Alto Adige non meriterebbero una visibilità maggiore, in Milano Cortina 2026?

Certo, basta pensare che, su 106 medaglie, 33 vengono assegnate in Val di Fiemme, tra fondo, salto e combinata. Ma in giro si parla solo di Milano e Cortina. Del resto, ci siamo attaccati al carro all’ultimo giorno. Da noi se n’è parlato tanto, ma la candidatura forte l’hanno portata avanti loro. Che, d’altro canto, nella Val di Fiemme e in Anterselva hanno trovato gli unici siti olimpici davvero sostenibili, perché da noi è tutto pronto, basterà qualche ritocco.

In occasione dell’assegnazione, a Predazzo, lei invitò i trentini a tenere gli occhi aperti affinchè le discipline olimpiche non ci venissero “scippate”. Qualcuno sostiene che, nel caso del pattinaggio velocità a Baselga di Piné, potrebbe essere stato facile profeta.

Io non ho notizie in questo senso, ma bisogna che il governo si decida a fare questa legge olimpica. Il pattinaggio a Piné vanta una lunga tradizioone, Sergio Anesi lavora da anni per questo traguardo, a quelli che storgono il naso di fronte all’investimento di Baselga di Piné io rispondo che anche quello per il bob a Cortina non è sostenibile.

Torniamo al Tour de Ski: rispetto alle prime edizioni, non le sembra un po’ depotenziato, ad uso e consumo dei “suoi” norvegesi?

Io dissi già l’anno scorso che non si poteva fare un Tour de Ski di sole sprint, mass start e gare ad inseguimento. Ma, detto questo, il fatto che questo format favorisca i norvegesi non è vero: Klaebo e la Johaug possono vincere tutto ma devono essere in forma, le gare di questi giorni lo dimostrano.

Perché non c’è un regionale nelle prime dieci posizioni?

È quello che mi chiedo sempre. Intendiamoci, non è facile, ma non è questione di trentini o altoatesini, qui non c’è un italiano nei primi 40... Ai miei tempi la tradizione non c’era, adesso la tradizione del fondo italiano c’è, abbiamo avuto atleti fortissimi, possibile che siano spariti? Senza voler attribuire colpe a nessuno, bisogna mettersi attorno ad un tavolo e vedere cosa si può fare.

Quindi, un Nones per Milano Cortina 2026 non lo vede?

In questo momento è difficile. I giovani che vanno forte ci sono, anche in Val di Fiemme: arrivano nei primi dieci in Coppa Europa, ma quando escono da quella spariscono.

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