LA STORIA

I legionari bolzanini, il vietcong Leoni e Arsenio «Corea» 

Due amici di piazza Matteotti partiti insieme coi Kepì Blanc Il primo, disertore, riuscì a salvare l’altro dalla morte 


Luca Fregona


BOLZANO. Oltre a Rodolfo "Rudi" Alatadonna, nella guerra d'Indocina hanno combattuto anche altri legionari originari di Bolzano. Sulle pagine dell’Alto Adige, abbiamo raccontato la storia di Beniamino Leoni (già partigiano di Giustizia e Libertà, premiato da Pertini nel 1980) e Arsenio Boschetti.

Partiti insieme nel 1946 per lavorare nelle miniere di carbone di Billy Montigny in Francia, dopo 4 mesi di quella vita decisero di arruolarsi nella Legione straniera. Il 9 maggio 1947 vengono dichiarati abili e arruolati, e spediti a Marsiglia, a Forte San Nicolà, per l’addestramento: «Dopo un mese ci caricarono su un battello, una carretta. Direzione: Algeria - ricordava Beniamino Leoni poco prima di morire nel 2001- . Per il viaggio mi misero in testa un képi sporco di sangue e cervello umano. E siccome tutte le parole che finiscono in vocale per i francesi sono accentate, divenni Leonì». Vengono portati al centro addestramento della legione di Sidi bel Abbes. Compagnia reclute. «Una casermetta a tre piani. Nel giroscale, ad ogni piano, c’era una scritta sul muro. Al primo: “Legio patria nostra”. Al secondo: “Legionario sei fatto per morire e ti mandiamo dove si muore”. Al terzo, la più bella: “Legionario prima di parlare di una donna ricordati che hai una madre”. In fondo, era l’unica che avesse senso. Dalla mattina alla sera ci riempivano la testa con l’onore, la morte, il dovere. Tutte cazzate». Nell’autunno 1947 Ho Chi Minh intensifica la resistenza contro i francesi. In dicembre Leoni e Boschetti vengono spediti in Indocina. Trentuno giorni di viaggio in nave fino a Saigon. A Saigon vengono separati, Leoni parte per la regione del Quang Tri, nel centro del paese. Una delle zone più calde. «I viet attaccavano con precisione e ferocia. Ci tenevano sotto. Ci ammazzavano senza che potessimo dire bah. Non eravamo più al sicuro nemmeno dentro le caserme. Molti disertavano. Eravamo sempre sotto adrenalina. Nella legione ti trasformi. Non sei più un uomo, sei solo un guerriero che deve stare attento anche ai propri compagni. C’erano fascisti e nazisti tedeschi, ma anche tanti comunisti. Chi scappava e veniva ripreso era un uomo morto».

Il 20 marzo 1949, Beniamino Leoni cade prigioniero e diserta. Viene aggregato a una compagnia di ex legionari. «Eravamo considerati "Han bin", rialleati. Secondo loro noi veniamo tutti dal proletariato. Entrando nella legione avevamo tradito la nostra classe d’origine, diventando un’arma dell’imperialismo. Ma adesso che stavamo con il Vietminh, ci eravamo redenti. Per diversi giorni ci impartirono lezioni di politica e comunismo. Noi disertori rappresentavamo qualcosa d’importante per i viet». Un giorno arriva al campo un ufficiale e chiede se qualcuno se ne intende di artiglieria. «Alzai la mano. Da quel momento cominciai ad occuparmi dell’armamento pesante». Per 6 anni combatte nella giungla contro i francesi. Partecipa all’assedio di Huè, la vecchia capitale imperiale e all’assalto finale a Dien Bien Phu. Dopo la sconfitta dei francesi, trascorre un anno in Cina e poi si consegna. Sanno che ha combattuto coi viet ma lui non ammette niente. Viene sottoposto a corte marziale. Lo condannano a un anno di prigione che sconta a Saigon e nel carcere militare di Marsiglia. Poi gli danno altri tre mesi di lavori forzati. Viene disonorato dalle Legione ed espulso dalla Francia.

Torna a Bolzano nel 1956. In piazza Matteotti ritrova l’amico Arsenio Boschetti. Molto noto in città col soprannome di “Corea”, perché oltre che in Algeria e Indocina, aveva anche combattuto coi paracadutisti nel conflitto coreano. Appena arrivati in Vietnam nel ’47, i due amici erano stati divisi. Sebbene i loro destini presero due strade diverse, riuscirono a rimanere in contatto con un sistema di comunicazione molto speciale che salvò più volte la vita a «Corea», grazie al ruolo di Leoni nell’esercito di liberazione del Vietnam. Lo raccontò lo stesso Boschetti in un’intervista all’Alto Adige nel 1970. (lf)

 













Altre notizie

Assemblea

Amministrazione di sostegno: in Alto Adige 3.600 «fragili»

La direttrice Rigamonti: «Servono ulteriori finanziamenti provinciali per sostenere le associazioni e chi si rende disponibile ad aiutare gli altri». Il Tribunale di Bolzano conta più di 500 nuovi procedimenti l’anno 


Valeria Frangipane

Attualità