LA STORIA

“Corea” Boschetti: «In quell’inferno Beni mi ha salvato»

La storia di due bolzanini entrati nella Legione straniera e mandati a combattere in Indocina contro il Vietminh 


Luca Fregona


BOLZANO. «Beniamino mi urlava dalle linee viet di stare tranquillo. Ero suo amico, non mi avrebbero ammazzato». In miniera in Francia e nel primo periodo della legione, l’amico fraterno di Beniamino Leoni è stato un altro bolzanino, Arsenio Boschetti, detto “Corea”, classe 1921, operaio alla zona industriale, morto diversi anni fa. Un personaggio molto noto nella Bolzano operaia degli anni Sessanta e Settanta, dove era conosciuto, appunto, col soprannome di «Corea», perché oltre che in Algeria e Indocina, aveva anche combattuto con i parcadusti della Legione nel conflitto coreano. Appena arrivati in Vietnam, i due amici vennero divisi. Sebbene i loro destini presero due strade diverse, riuscirono a rimanere in contatto con un sistema di comunicazione molto speciale che salvò più volte la vita a «Corea», grazie al ruolo di Leoni nell’esercito di liberazione del Vietnam. Lo raccontò lo stesso Boschetti in un’intervista all’Alto Adige nel febbraio del 1970. «Appena arruolati - ricordò l’ex legionario -rimanemmo alcuni giorni alla caserma della Legione di Parigi. Finalmente arrivò l’ordine di trasferimento a Marsiglia, a"Forte San Nicola". Vendemmo le ultime cose che ci erano rimaste, compreso il cappotto, e partimmo. Al forte ci raparano a zero e iniziarono a prenderci a calci per “addestramento”. Poi un altro mese in Algeria, fino a quando, non ci fecero partire per l’Indocina. Dopo 31 giorni arrivammo a Saigon, sicuri che saremmo rimasti assieme, dato che eravamo connazionali. Invece questo era contrario alle consuetudini: il capitano del reparto, uno jugoslavo, ci separò subito. Io rimasi a Saigon e Beniamino fu spedito a Huè. Da allora di lui non ebbi più notizie precise: finché un giorno venne da me un certo tenente Novak, chiedendomi se sapevo qualcosa del mio amico. Come posso saperlo - gli risposi - se siamo a più di mille chilometri di distanza?. E lui:"Ma ti risulta che sia scappato?". Io naturalmente caddi dalle nuvole. Insomma alla fine mi disse che “Beni” durante una battaglia era sparito da una località che mi pare si chiamasse Do-ri-ke-tun o qualcosa del genere. Io continuai la mia guerra e più di una volta mi accaddero durante le operazioni dei fatti strani. Mentre avanzavo con il mio carro armato nella giungla, sentivo la voce di Beni che mi avvertiva. I guerriglieri, infatti, si mettevano sugli alberi coi megafoni e parlavano ai soldati nemici, invitandoli ad arrendersi, disertare o abbandonare il campo. E io sentivo la voce di Beni che mi metteva in guardia dicendomi magari: "Stai attento che nel tal punto ti fermerai, non riuscirai ad andare avanti", e infatti succedeva proprio così. Diceva anche che a me non sarebbe mai accaduto nulla di male, ma ai miei commilitoni sì. Insomma mi seguiva spesso. Per me comunque era stato fatto prigioniero e quando ci si trova con un coltello alla gola, come succedeva ai legionari, non c’era da scherzare. Io nel frattempo fui spedito per due anni in Corea e nel’52 venni finalmente congedato senza sapere più nulla di Beni».

I due si ritrovarono alla fine degli anni Cinquanta in piazza Matteotti. Rimasero amici per tutta la vita.













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