Il vento del cambiamento ha bisogno di mulini, non di muri



Quando soffia il vento del cambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento. 

Enrico Letta cita questo proverbio cinese per cercare di spiegare una situazione che non ha precedenti: in Italia, in Europa, nel mondo. E invita a superare la consueta retorica positiva che si è costruita attorno al disegno europeo, ritrovando il significato di parole di cui dobbiamo andare orgogliosi: libertà, diritto, solidarietà. Attingendo al buonsenso italiano. Ripartendo dalla scuola, dal mondo dell’educazione e della formazione, dall’entusiasmo dei giovani e dalla resilienza, dall’esercizio del pensiero laterale e dalla forza dell’immaginazione. Per dimostrare - da accademico che guarda la politica da lontano, girando il mondo - che non ci sono scorciatoie per abbattere i muri reali e quelli che, per paura, costruiamo nella nostra testa.

Nel preambolo della (mai entrata in vigore) Costituzione europea, l’Europa viene definita uno spazio privilegiato della speranza umana. Uno spazio che fra sette giorni si costruirà con il nostro voto. Che può essere un voto per i muri o per i mulini. Un voto per cercare di capire il cambiamento - inteso anche come aspirazione - e per governarlo: senza chiudersi in un guscio. Brexit, Trump, i sovranismi e le paure - declinate al plurale, anche se tutte riconducibili in gran parte al tema, singolare, dell’insicurezza - rendono il voto del 26 maggio, insieme, nazionale e mondiale. Nazionale: perché da giorni gli alleati gialloverdi (parola curiosa, visto che politicamente si menano da mane a sera) hanno solo voglia di contarsi, di spostare il Paese - e il baricentro della politica - di qua o di là. Mondiale: perché di fronte a un Regno Unito che fatica ad attuare una scelta dirompente (l’uscita dall’Europa, appunto) e al cospetto di un Trump che sta cambiando gli equilibri del mondo alla faccia di chi lo considera un guitto o poco più, solo l’unione (europea) può far la forza. Ma dev’essere un’Europa diversa, una«comunità di destini», per dirla con una bella frase di Max Weber ripresa da Paolo Pombeni nel suo ultimo libro, intitolato, non a caso, «La buona politica», «dove il destino - dice Pombeni - è l’orizzonte di sviluppo in nome del quale le comunità politiche trovano il collante che le tiene insieme, perché unisce la tensione dei singoli verso la propria realizzazione con la promozione della forza che ad essi deriva dal condividere la potenzialità e le opportunità dell’essere un corpo sociale». Si può fare.













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