il convegno

Abusi nella Chiesa, le vittime e il coraggio di raccontare

La testimonianza di una fedele molestata a 13 anni. Il percorso doloroso e complesso della Curia per affrontare un tema a lungo rimosso. Nell’ultimo anno cinque nuove denunce. Il vescovo: «Basta silenzio»


Paolo Campostrini


BOLZANO. Anna parla ma non la si vede. Racconta degli abusi subiti, aveva 13 anni, ora ne ha cinquanta: sono state ferite che le sono giunte da dentro la sua chiesa. Ma adesso è nella sua stessa chiesa che parla e la chiesa l’ascolta. È qui, in questo passaggio doloroso ma finalmente lucido e consapevole, che sta tutto il percorso intrapreso dalla diocesi: accettare di essere stata causa di sofferenza da parte dei suoi ministri, salire il Calvario insieme ai fedeli e trovarsi a chiedere perdono. Ma farlo in “comunione”. Gli uni accanto agli altri.

Dice il vescovo: «Ecco, tentiamo di trovare una nuova opportunità nel dolore e nelle ferite». Vuol dire, Ivo Muser, che si ha bisogno l’uno dell’altro, adesso: chi ha subito e chi, come ora si dice “sapeva e non ha detto”. Oppure ha fatto ed ha tenuto nascosto. Cosa tiene insieme dopo tanti anni tutto questo? “La fede” risponde sicuro Muser. E a osservare chi è arrivato ieri mattina in curia per condurre in porto il progetto “Il coraggio di guardare” - fedeli e sacerdoti, vittime e testimoni, protagonisti e coordinatori parrocchiali - si ha come la sensazione che proprio accettare il passato per renderlo materiale su cui (ri) costruire il presente sia la chiave. E la consapevolezza che gli errori e gli orrori degli uomini non bastino a scalfire il sentirsi parte. Guardare e ascoltare.

Alcune vittime erano lì, a mostrarsi. Anche se le “ferite restano ferite” ha spiegato nella sua testimonianza Roland Angerer di Stilves che fa parte del gruppo direttivo incaricato dal vescovo di accompagnare il progetto: «Adottiamo un approccio ai casi che sia coraggioso e coerente, anche di fronte ai venti contrari». Che non sono pochi. «Siamo una delle diocesi che ha scelto la strada più radicale» ha sottolineato Gottfried Ugolini, che presiede il direttivo incaricato del lavoro preparatorio inteso a elaborare e a prevenire gli abusi. «Nuove denunce? Sì - rivela - visto che solo quest’anno ne sono giunte almeno cinque. E anche ulteriori testimonianze». Dunque? «Molto resta ancora sotto la cenere». Come fosse un iceberg con la sua gran parte sotto il mare. Poi ci sono le resistenze. «Alcuni sacerdoti si sono mostrati aperti rispetto a questo nuovo approccio - commenta Ugolini - altri meno. C’è molta sofferenza in loro. Ma anche un freno alla consapevolezza del senso reale di ciò che è stato fatto. Ma qui da noi, e anche in generale nel Triveneto ci sono molti uomini e donne che affrontano le piaghe dei loro trascorsi».

Certo, ci vuole proprio coraggio. Nessuno ti viene a cercare, nessuno impone nulla ad alcuno. Si chiede ascolto e ci sui aspettano parole. Ma è la stessa metodologia voluta da Muser, l’affrontare a viso aperto la piaga degli abusi nella Chiesa, che sa di verità. Non c’è nessuna polizia che viene ad arrestare, i fatti sono per la gran parte comunque prescritti. Per la legge degli uomini. Ma poi c’è quella della Chiesa e dei fedeli. E qui si sta innescando un processo di reciproca accettazione di sé. Di condanna, certo, ma pure di percorso comunitario. Il progetto proseguirà fino al 2026, sviluppato in collaborazione con l’istituto di antropologia della Pontificia Università Gregoriana.

«Siamo dentro un cambiamento di mentalità di tipo culturale e strutturale - ha aggiunto Ivo Muser - e ciò che è richiesto è un atteggiamento cristiano ma soprattutto interiorizzato». C’è stato ieri più clamore in un racconto di abusi fatto in diretta, davanti a decine di persone in ascolto, pur se celato alla vista, detto a voce bassa ma sicura che in mille parole urlate. Ora proseguirà la ricerca negli archivi diocesani con la consulenza di uno studio legale indipendente. Su queste basi verranno intervistati altri testimoni, poi i risultati verranno pubblicati.

«Purtroppo si tratta di fenomeni che non riguardano solo la Chiesa - ha concluso Ugolini - ma tutta la società. Noi facciamo adesso la nostra parte». Al convegno hanno partecipato circa ottanta persone provenienti da organizzazioni ecclesiali e non, rappresentanti delle istituzioni, di magistratura e forze dell’ordine, a conferma che il problema degli abusi è un fenomeno sociale che riguarda non solo la Chiesa ma anche la società altoatesina nei diversi ambiti.













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