il personaggio

Karen, la farmacista di San Giacomo che sogna di andare nello spazio

La 25enne altoatesina fra i 30 studenti di tutta Europa selezionati dall’Agenzia Spaziale Europea per un progetto di formazione: «Studio l’azione dei farmaci sul corpo umano nello spazio, mi piacerebbe andarci un giorno. E pensare che ero destinata a insegnare pianoforte»


GIANLUCA MARCOLINI


LAIVES. Sarà una questione di patrimonio genetico, oppure l’influenza astrale (ognuno è libero di pensarla come vuole), fatto sta che Karen Barchetti - 25enne altoatesina di Laives («di San Giacomo, per favore: sono sangiocomota al 100%»), il padre Paolo noto docente dell’Upad, oggi in pensione, la madre infermiera strumentista in ortopedia a Merano - ha un’attitudine spiccata per riuscire a spiazzare tutti coloro, e forse anche se stessa, che vedevano per lei un futuro già scritto. Nella sua ancor breve esistenza lo ha già fatto diverse volte e oggi le sue scelte l’hanno portata a toccare il cielo, pardon le stelle, con un dito.

Chi è e cosa fa Karen Barchetti?

Studio farmacia all’università di Urbino e ho appena concluso il tirocinio di 900 ore all’ospedale di Merano, dove mi sono trovata benissimo. Conto di laurearmi ad aprile.

Perché il tirocinio all’ospedale?

La scelta era fra la farmacia ospedaliera e quella territoriale, ho deciso per l’ospedale perché volevo provare qualcosa di diverso.

Studentessa modella fin dal liceo, potrei azzardare…

Ho frequentato il liceo Pascoli a Bolzano, con buoni risultati, dopo una veloce esperienza al Carducci. Ero e sono stata sempre diligente nello studio, lo devo in particolare al Conservatorio e al pianoforte.

Al pianoforte?

Sono una pianista. Nasco musicista, ma dopo aver studiato per oltre dieci anni al Conservatorio ho lasciato a un passo dalla laurea.

Perché ha abbandonato?

Ero arrivata al punto di saturazione e anche se mi fossi laureata, avrei comunque smesso di suonare. Volevo approcciarmi a qualcosa di più scientifico e così ho abbracciato la farmacia.

I suoi genitori non l’avranno presa benissimo

Reazione comprensibile, la loro, visti gli sforzi e i sacrifici che hanno fatto. Ho iniziato a 6-7 anni a suonare e a 10 sono entrata al Conservatorio: mi esercitavo anche sei-otto ore al giorno, di fatto era un lavoro. Ora mi diletto quando ho tempo, in realtà molto poco, ma il pianoforte farà sempre parte della mia vita. E comunque ringrazio il Conservatorio e i professori che mi hanno seguita, perché mi hanno aiutata a essere diligente e insegnato la dedizione che adesso riverso nello studio.

Passare dallo studio degli spartiti musicali alla chimica farmaceutica e poi alla farmacologia spaziale è un bel balzo nella vita di una persona.

Sono sempre stata appassionata di film di fantascienza e mi ha sempre affascinato l’aspetto pionieristico dei viaggi spaziali. Mi sono chiesta come i farmaci agiscano sull’essere umano nello spazio, pensavo vi fossero degli studi specifici e invece ho scoperto che nello spazio i farmaci vengono assunti presupponendo una situazione analoga a quella terrestre. Non si considerano i numerosi adattamenti fisiologici che l’organismo subisce in un contesto fuori dalla gravità della Terra. La mia tesi sperimentale verterà su questo e vuole anche essere una provocazione per incentivare la ricerca in questo campo.

Poi c’è stato l’incontro con l’astronauta Paolo Nespoli

Il Movimento Universitario Altoatesino, di cui faccio parte, mi ha messo in contatto con Paolo Nespoli, che aveva partecipato, nel 2019, alla prima edizione del Max Valier Award, un evento organizzato dal Mua assieme ad altri partner. È stato gentilissimo e disponibile, mi concederà un’intervista che inserirò nella tesi di laurea. Mi ha fornito inoltre una serie di consigli e anche molti contatti preziosi con l’Esa, l’European Space Agency.

Ce ne sarebbe abbastanza per essere già contenti così. Invece, c’è stata anche la partecipazione al progetto dell’Agenzia Spaziale Europea, il corso di fisiologia spaziale aperto a 30 studenti da tutta Europa. Complimenti.

Ho presentato domanda lo scorso autunno e sono stata selezionata, non me l’aspettavo proprio di partire per il Belgio.

Era l’unica italiana?

No, eravamo in sei e la cosa mi ha positivamente sorpresa! Medici, biologi e ingegneri, da tutta Italia. Ero l’unica farmacista.

Neanche da chiedere se sia stata una bella esperienza

È stata fantastica, davvero incredibile. Oltre ad approfondire i numerosi adattamenti fisiologici che avvengono in microgravità, abbiamo appreso come funziona la vita a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e i programmi futuri dell’Esa, le missioni Artemis che puntano a tornare sulla Luna. Siamo stati divisi in vari gruppi, ognuno con un tema specifico da sviluppare, il mio ha lavorato sulla locomozione lunare.

Che tradotto in parole povere, sarebbe?

È stato osservato, durante le missioni Apollo, che gli astronauti cadevano spesso e facevano fatica a rialzarsi, saltellavano e cadevano, impiegando anche 20 minuti nello sforzo di rialzarsi, sprecando notevoli quantità di ossigeno ed energie, senza contare il rischio infortuni.

E il famigerato simulatore, lo avete provato?

Certo che sì. Abbiamo provato i simulatori di gravità lunare e marziana e inoltre sperimentato la cosiddetta “centrifuga”, raggiungendo i “3G”, più o meno la forza inerziale percepita dagli astronauti durante il lancio. Sembrava di essere su una giostra, restando in piedi e immobili, obbligati a fissare un punto per evitare la nausea.

E come è andata? Si è sentita male?

No, affatto, è andata bene, non ho avuto problemi.

Allora è quasi pronta per andare nello spazio

Sarebbe un sogno. Oggi ci vanno soprattutto piloti di caccia militari e ingegneri. La speranza sono le missioni private, come abbiamo visto anche di recente. Se avessi la possibilità accetterei di imbarcarmi senza pensarci un secondo: sarebbe fantastico anche poter vedere la Terra da una prospettiva diversa. Gli astronauti sostengono che tutti lo dovrebbero provare, almeno una volta nella vita.

Non serve una preparazione militare per volare nello spazio?

Non necessariamente, ma serve essere perfetti fisicamente. Intanto, punto a seguire gli astronauti dalla Terra.

Quali sono le prospettive dopo la laurea?

Il piano A è continuare la ricerca in ambito spaziale, magari con un dottorato sull’uso dei farmaci nelle missioni di lunga durata, oltre la bassa orbita terrestre. Mi sono messa in contatto con docenti francesi, l’idea sarebbe quella di andare a studiare a Parigi. Molto, però, dipende dai fondi a disposizione, visto che c’è maggior attenzione verso l’ingegneria.

E il piano B?

Provare a lavorare per l’Esa, al centro medico di Colonia, svolgendo un tirocinio pagato della durata di uno-due anni. E ci sarebbe a dire il vero anche l’università Sant’Anna di Pisa, dove ho già partecipato, nel 2022, a un corso di biologia spaziale. Diciamo che fra dieci anni non mi vedo a lavorare in una farmacia.

E non si vede troppo neppure in Italia, a quanto pare. Men che meno a Bolzano.

Purtroppo in Italia non vi sono tanti sbocchi nella farmacologia spaziale, quindi è probabile che sia destinata a trasferirmi all’estero.

Ci sono stati dei contatti con AstroSamantha?

Ancora no, ma spero che prima o poi accada. Così come auspico che si arrivi a creare un team multidisciplinare composto da farmacisti, medici, biologi, che segua gli astronauti; oggi di fatto ancora non esiste.

Ciò che sta cercando di realizzare fa di lei un esempio per le nuove generazioni di studenti. Se la sente di offrire un consiglio ai ragazzi che stanno cercando la loro via nella vita?

Non bisogna avere paura di imboccare nuove strade, come ho fatto io, abbandonando l’idea di diventare un’insegnante di pianoforte. Non ci si deve dare mai per vinti mentre si cerca la propria strada: a un certo punto, quando la trovi, dentro di te scatta qualcosa. Non bisogna farsi sopraffare dai giudizi altrui. Serve tanta determinazione e molto sacrificio. E anche un pizzico di fortuna. Magari non raggiungerò tutti i miei obbiettivi, ma ci proverò con tutte le mie forze.

E se arrivasse davvero nello spazio?

Saluterò da lassù chi mi conosce, l’ho promesso al mio professore Piero Sestili, che mi segue nella tesi, e ai miei colleghi dell’ospedale di Merano.













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