È morto Vassalli, raccontò il disagio degli italiani

Aveva 73 anni. Con “Sangue e suolo” l’Alto Adige divenne un caso nazionale


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Si è spento ieri dopo una breve malattia lo scrittore Sebastiano Vassalli. Aveva 73 anni.

Da "Sangue e suolo" a "Il Confine". È tra questi due suoi libri che la vita di Sebastiano Vassalli - nell’arco degli ultimi 30 anni - è entrata e uscita anche dalla nostra.

Del primo, quando uscì nel 1985, Alexander Langer disse: «È la bibbia del disagio italiano». Oggi lo storico Giorgio Delle Donne dice invece: «Alex non sopportava che qualcun altro parlasse male di quella autonomia, voleva il copyright della critica colta. Ma Vassalli metteva il dito nelle contraddizioni di un modello». In realtà Vassalli arrivò in Alto Adige da inviato di "Panorama mese" e scrisse quello che vide. Lo scrisse come un Candido di Voltaire: questo è bianco e questo è nero. «Sbagliava in molte analisi. Ma sbagliando diceva anche delle verità», aggiunge Hannes Obermair, direttore dell'Archivio storico. Vassalli camminava su un vulcano che ribolliva sotto la crosta di un Pacchetto allora quasi esclusivamente risarcitorio. In mezzo a un processo di modernizzazione della società altoatesina che stava innescando reazioni esplosive.

«Vassalli nazionalista», scrivevano di lui. Ma lui, seppur in modo contraddittorio, registrava quello che gli altri non vedevano. Se ne sarebbero accorti tutti solo quando migliaia di voti operai prima comunisti decisero di transitare, di colpo, nella pancia del Msi.

«Vederle scritte certe cose - dice oggi Hans Heiss, storico e consigliere verde- ci faceva reagire. Pensavamo: no, non è così. In effetti Vassalli registrava spesso solo la pancia ma ora sappiamo che alcune ferite sono ancora aperte. E che farsi guardare da fuori è una medicina salutare, anche se ci guardano male».

Poi "Il Confine", trent'anni dopo. Senza la stessa scrittura torrida, gli aggettivi ribollenti, l'ardore del reporter in zona di guerra. Ma un nuovo sguardo. Più dall'alto. Di prospettiva: "Gli italiani hanno sempre capito poco della storia dell'Alto Adige". Italiani come lui.

"I due gruppi - scriveva in questi ultimi mesi Vassalli - sono destinati a convivere".

Ecco cosa dice "Il confine" : «Serve chiudere i conti con la storia, superarla una volta per tutte, passando dal presente e andando verso il futuro».

Per Hans Heiss, questo ultimo libro “è una sorta di testamento positivo. Un lascito per chi resta. Tutti noi tendiamo a relativizzare anche i successi ma devo ammettere che trent'anni non sono passati invano”. Resta una lezione. Dice lo storico Andrea Di Michele: «Tendiamo tutti a considerare chi guarda alla pancia delle cose come un dilettante. Era l'epiteto che avevano affibbiato a Vassalli. Ma se ripenso a quello che è successo anche alle ultime elezioni comunali con la travolgente avanzata del non voto, il crollo dei partiti di maggioranza e l'avanzata di CasaPound nei quartieri mi viene il sospetto che un Vassalli in giro per Bolzano a registrare la pancia della gente non sarebbe stato inutile».

Sebastiano Vassalli giunse a Bolzano nei mesi in cui tutto stava accadendo. «C'era in atto una modernizzazione ambigua - ricorda Obermair- e la politica pensava di gestirla senza andare in profondità. Pensando solo alle norme e non anche all'antropologia, alle teste della gente. Allora i tedeschi e i ladini stavano vincendo e gli italiani perdendo posizioni di potere. E, confusamente, anche identità. L'analisi era sbagliata, Vassalli lisciava il vittimismo ma era questo che stava accadendo, crudamente, negli anni Ottanta a Bolzano». Con, in mezzo, anche il vecchio vezzo italiano di venire in Alto Adige come in un luogo esotico, osservare in fretta, registrare e scappare via. Ma Vassalli era un grande scrittore. Il suo non è mai stato un libro di politica ma un libro. Scritto benissimo. Pieno di emozioni e sorprese. I libri politici erano altri.

“Spartizione subito” di Sabino Acquaviva o “La minoranza dormiente”. Era in atto in quegli anni un massiccio spostamento nelle posizioni di potere e Vassalli ne mostrava contradditoriamente tutta la inavvertita portata. «Vassalli non ha favorito la risposta nazionalista di tanti italiani - osserva Delle Donne - ma ha registrato la pochezza dei partiti italiani nel gestirla e la loro inadeguatezza, che continua tuttora, nei confronti dell'aggressività Svp». Pochi mesi fa Delle Donne ha telefonato a Vassalli. «Scusa Sebastiano, vorresti scrivere la prefazione a un mio libro? Su che cosa? mi ha risposto. Sull'Alto Adige... Allora no, grazie, preferisco non fare polemica». Ecco l'ultimo Vassalli. Meno pancia e più riflessione. E forse anche qualche amarezza in più. Come quella che provò leggendo le reazioni al suo libro nel 1985.

«Fu molto scottato - ricorda ancora Delle Donne - dagli attacchi dei Verdi. Pensava che le loro critiche ai meccanismi della proporz li avrebbe resi sensibili, positivamente, a quello riportato nella sua inchiesta. Non sapeva che loro erano come i forestali calabresi: che appiccano i fuochi di notte per poi spegnerli il giorno dopo e mostrare che loro servono sempre...».

Vassalli non si censurava. Invece i vecchi democristiani, allora, sì: «Ragazzi è meglio non enfatizzarle certe cose, stiamo trattando con la Svp...», era la risposta dei vertici scudocrociati al disagio dei quartieri. Ma in "Sangue e suolo" solo pane al pane. A pagina 93, Vassalli riportava un'intervista a Messner: «Se il Sudtirolo diventasse indipendente, ora, io probabilmente verrei ucciso». La citazione è riportata fedelmente da Delle Donne nel suo ultimo "Cinque pezzi facili sull'Alto Adige - Südtirol" (Edizioni Alpha Beta). Questo per dire cos'eravamo trent'anni fa. Un altro mondo. E infatti oggi Vassalli è il libreria con "Il confine". Ma quel mondo c'è stato. Messner diceva quelle cose. Altri non dicevano quello che vedevano. Chi poteva fare analisi più corrette di quelle di Vassalli, meno divisive e "nazionaliste" non le ha fatte. Anche di questo ci è testimone con i suoi due libri. Siamo cambiati in meglio. Ma potevamo, visto quello che allora passava il convento, finire molto peggio.

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