Acciaierie Valbruna, operai in scioperocontro la probabile chiusura a Bolzano

Un'ora di protesta dopo l'annuncio della proprietà che è intenzionata a chiudere il reparto nel quale sono impiegate 120 persone, ora in cassa integrazione



BOLZANO. Circa trecento lavoratori hanno scioperato per un'ora con una manifestazione che si è tenuta davanti alle Acciaierie Valbruna di Bolzano. Lo sciopero è stato deciso dagli stessi operai preoccupati per la salvaguardia di 120 posti di lavoro a rischio.

E' questa la decisione presa in seguito alle notizie diffuse sui giornali locali dall'amministratore delegato Ernesto Amenduni e dall'assessore al lavoro Roberto Bizzo sul futuro delle acciaierie.

I lavoratori dopo un'ora e mezzo di assemblea hanno deciso all'unanimità ''di manifestare il loro dissenso a chi decide a cuor leggero sulla loro testa''.

L’ingegner Ernesto Amenduni, amministratore delegato delle Acciaierie Valbruna, dopo mesi di timori e voci insistenti, ieri ha tagliato la testa al toro: «Per ora non abbiamo preparato nessuna lista di mobilità. Se però il mercato dell’acciaio non si riprenderà dopo il crollo subito nel 2009, e i segnali nei primi mesi del 2010 non appaiono confortanti, al termine della cassa integrazione straordinaria, ossia il 24 gennaio prossimo, non escludiamo di chiudere il reparto acciaierie mettendo in mobilità circa 120 degli attuali 480 dipendenti. Sarebbe l’unica soluzione possibile, ma per saperlo dovremo aspettare settembre».

 Insomma: con tutta probabilità, niente più forno fusorio; a Bolzano rimarrà soltanto il reparto laminazione, che tratterà i semilavorati provenienti dalla fabbrica Valbruna di Vicenza, tecnologicamente assai più attrezzata per sopravvivere alla crisi economica globale.

«Comunque non abbiamo intenzione di andarcene da Bolzano, ma la politica altalenante della giunta provinciale non ci sta certo aiutando, a partire dalle dichiarazioni non vere e fuorvianti rilasciate dall’assessore Roberto Bizzo».

 «Posso capire le preoccupazioni di sindacati e lavoratori», ha dichiarato Amenduni. «Purtroppo hanno ragione. Io posso semplicemente dire che nel 2009 il mondo della siderurgia ha conosciuto un tracollo a livello planetario. Solo per fare un esempio, il consumo di acciaio in Italia è crollato del 50%. In Spagna è diminuito dell’80%. E nei primi quattro mesi del 2010, in tutta Europa i laminati in rotoli prodotti sono calati del 69,5%, mentre la produzione di barre è scesa del 45%».

Tutto il mondo è stato vittima di una contrazione dei volumi di consumo e di una riduzione dei prezzi medi di vendita, dovuto al crollo del prezzo delle materie prime. «Per quanto ci riguarda, la maggior penalizzazione l’ha subita Bolzano e qui non c’entrano i fantasmi agitati da qualcuno, tipo che noi vogliamo agevolare Vicenza a scapito di Bolzano, e neppure c’entrano i fantomatici tentativi di far leva sulla Provincia per ottenere qualche altro finanziamento».

Secondo Amenduni, Bolzano sarebbe invece penalizzata da un punto squisitamente tecnico. La gamma di prodotti realizzabili in città, a causa della natura dello stabilimento, sarebbe infatti alquanto più ristretta rispetto a quella della fabbrica gemella di Vicenza. Ergo, in Veneto la produzione non si poteva fermare, perché si sarebbe penalizzato l’intero gruppo Valbruna.

«A Bolzano abbiamo fatto di tutto per non chiudere, producendo molto anche senza ordinativi da parte dei clienti, accumulando scorte, ma abbiamo potuto resistere solo finché avevamo posto nei magazzini, poi siamo stati costretti a rallentare la produzione». Amenduni ha poi specificato: «A Bolzano non abbiamo mai licenziato nessuno. Il numero di lavoratori impiegati, a fronte di 85 milioni di investimenti tecnologici effettuati, è ovviamente diminuito, dai 650 iniziali, quando acquisimmo le Acciaierie dalla Falck nel 1996, ai 485 attuali».

Inoltre, a chi è andato in cassa integrazione, la Valbruna ha elargito 138 euro lordi al mese, «aggiungendovi anche il premio di risultato, nonostante si sia lavorato meno del normale. Si tratta di 400 euro a lavoratore. In più, abbiamo liberato il Tfr: chi voleva o si trovava in situazione di disagio, poteva attingervi liberamente, senza giustificazione alcuna.













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