Addio al «camoscio solitario dei ghiacciai»
Renzo Bez è scomparso di recente all’età di 78 anni. Originario di Falcade, una vita in Alto Adige
BOLZANO. È scomparso di recente, all’età di 78 anni, Renzo Bez, un falcadino nato nel 1939, che per alcune stagioni fra il 1970 e il 1973 fu ai vertici dell’alpinismo estremo dolomitico e nelle Alpi, compiendo alcune imprese di grande rilievo.
Figlio di emigranti (mamma Caterina Strim e Liberale Bez, quest’ultimo nipote della famosa contrabbandiera Luigia Da Sacco, “Gigia Malora”) al lavoro in Svizzera, nipote di Emanuele Strim il sordomuto noto a tutti a Falcade che fu anche un bravo artista, dal 1944 al 1949 fu allevato dalla nonna in via Strim, assieme al fratello Vittorio, per poi seguire i genitori nel frattempo rientrati a Bolzano. Nell’estate del 1954 aiutò la guida falcadina Bepi Murer “Beda” in una necessaria opera di segnaletica alpina lungo i principali sentieri delle montagne della Valle del Biois. Renzo, allora quindicenne, fu soggiogato dalla bellezza del Focobon e delle Cime dell’Auta e ne restò invaghito. Fu allora che decise, appena sarebbe diventato più grande, di sfidare queste cime.
Ma dovettero passare molti anni prima che ciò avvenisse. Fu durante il servizio militare svolto nel corpo degli alpini paracadutisti che riscoprì i monti, ma non era ancora il momento giusto. Fra il 1970 e il 1973 fu però tutto un fiorire di ascensioni. Dapprima nel 1970 due vie nuove sulla Torre Bronzolo e sul Catinaccio realizzate assieme alla guida fassana Tullio Pederiva, assieme al quale si dedicò anche alla ripetizione di alcune classiche dolomitiche. Un’occasionale escursione fatta in quegli anni con gli amici del “Grole” gli permise di ammirare le fantastiche pareti di ghiaccio delle principali cime altoatesine. Successivamente vi ritornò da solo e si dedicò ad esse, compiendo numerose salite solitarie sulla Nord dell’Ortles, della Presanella, del Gran Zebrù (con salita diretta della uscita Diemberger), del Trafoi, della Vertana. Saliva là dove gli sembrava più bello senza mai preoccuparsi se vi fosse già una via tracciata. Qualche rara volta si legava anche in cordata: gli furono compagni di ascensione Sereno Barbacetto e Heini Holzer “lo spazzacamino” sudtirolese, con cui condivideva la passione per lo sci-alpinismo estremo. “Notti sotto le stelle” era una sorta di suo motto.
Nel 1972, attirato dalle celebrazioni del centenario della prima salita al Monte Rosa, si ritrovò a Macugnaga in Valle Anzasca, alla base della più alta parete europea, la Est del Monte Rosa. Fu un amore a prima vista. Specie quello spigolone che scende dalla Punta Gnifetti lungo il quale sale la via dei Francesi che contava già una solitaria di Alessandro Gogna realizzata in 3 giorni di brutto tempo. Il Bez, partendo dalla Capanna Zamboni superò il dedalo di seraccate ed i vertiginosi pendii misti di ghiaccio e roccia di cui si compone l’itinerario in 10 ore con rientro in giornata per la via normale. Altre volte, ancora scegliendo il Rifugio Zamboni come campo base, l’alpinista effettuò tre eccezionali exploit: salita e discesa in giornata del Canalone Marinelli alla Dufur, impresa che era riuscita solo nel 1925 all’alpinista viennese Oskar Franz; qualche giorno dopo Bez ripete in solitaria la diretta delle guide Ranzoni e Jacchini , combinandola con la discesa integrale e in giornata del “Marinelli”; infine lo spigolo S.Caterina alla Cima Norden, 600 metri di vetrato nel corso della cui salita vivrà una brutta avventura per caduta massi. Queste imprese gli procurano l’entusiasmo e l’ammirazione degli alpinisti e delle guide, che non mancavano occasione di rendergli omaggio. Nel 1973 durante un raduno a Macugnaga del “Club dei 4000” gli venne consegnata una targa “ad onorem” che valeva l’ammissione al sodalizio per la sua particolare attività sulle Alpi centrali.
Fra le altre salite vanno anche ricordate quelle compiute lungo i canaloni ghiacciati della Catena Nord delle Pale di San Martino (Passo del Travignolo, Passo di Focobon e altri ripidi scenari).
Si sposò presto con Martha Gruber. La cerimonia venne officiata sotto la Vertana nella valle di Solda da don Hurton e ad essa parteciparono anche i rocciatori della Valle del Biois Toni e Arcangelo Serafini, Egido e Celeste Lorenzi e Carlo De Bernardo. Fu una giornata stupenda condita da una sottile vena di amarezza perché significava anche l’addio all’attività alpinistica che il giovane aveva promesso alla futura moglie.
Renzo si dedicò quindi da allora assiduamente al lavoro, curando una cava di pietra nella zona di Pontives (Comune di Laion), attività che solo pochi anni fa cedette ai figli. Tutti lo ricordano come un bravo e corretto lavoratore. Negli ultimi anni si dedicò anche a preziosi lavori di intarsio che testimoniavano anche una vena sensibile ed artistica.
Da tempo era ammalato: non stava bene e anche nello scorso mese di luglio quando passammo a trovarlo paventava ormai la prossima fine. Ma era sereno.
Gli amici lo ricorderanno anche per la modestia e la naturalezza con cui narrava delle sue imprese, facendo apparire facile anche l’estremamente difficile. Lo avevano soprannominato “il camoscio solitario dei ghiacciai”, ma egli non portava alcun vanto e sorrideva perché arrampicava solo per sé e per un’intima esigenza spirituale che lo portava a esperienze e sensazioni che solo i fortissimi possono godere.
* Accademico del Cai e storico dell’alpinismo