il caso

Bolzano: incinta, perde il lavoro. «Tanti casi come il mio»

Impiegata di ente pubblico in maternità, non le viene rinnovato il contratto Il suo appello: «Racconto la mia storia perché in troppe restano in silenzio»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Quando è arrivata a pensare «per fortuna avrò un figlio maschio e non una femmina» ha deciso che una cosa andava fatta, raccontare la sua storia di donna licenziata da un ente pubblico perché incinta. «Siamo in tante, anche in Alto Adige, ma non parliamo per paura o perché un licenziamento ti toglie un pezzo di vita. Invece bisogna parlare, perché sta succedendo una cosa bruttissima, inaccettabile. Non puoi arrivare a dirti “meglio un maschietto, perché non ce la farei a vedere mia figlia passare attraverso quello che ho vissuto. Come ci siamo ridotti?».

Anna (nome di finzione) è una trentenne bolzanina. Ha un marito e una famiglia che la sostengono, «una boa in mezzo al mare», racconta, «ma con uno stipendio non è facile vivere e poi lavorare mi piace». Vuole raccontare la sua storia, perché non è sano il silenzio che circonda il fenomeno delle donne licenziate per maternità.

«Nel mio corso pre-parto su cinque donne eravamo in due con questi problemi. Per fortuna l’altra ragazza è riuscita a salvare il posto di lavoro. A una mia amica è successo lo stesso. Poi qualche settimana fa ho letto sull’Alto Adige la storia della commessa che si è vista interrompere il periodo di prova perché incinta. Allora mi sono detta “aggiungiamo un’altra voce”, perché se continuiamo a stare zitte potrà solo peggiorare».

Ha chiesto di non essere resa riconoscibile. È in corso la causa di lavoro contro l’ex datore di lavoro e a breve dovrebbe arrivare la sentenza.

Lavorava come impiegata per un ente pubblico. «Sì, un ente pubblico. È facile fare le proporzioni di quanto stia accadendo nel privato, stretto dalla crisi». Aveva un buon lavoro con un contratto di sostituzione di personale con comando. «Era un contratto di un anno, rinnovabile fino al rientro dell’altro impiegato. In teoria avrei potuto restare lì per dieci anni, anche di più.Dopo tre anni e mezzo sono rimasta incinta. Ero felice, chi ci pensava che mi sarebbe costato il lavoro? Tra l’altro ero lì da parecchio tempo ormai. Non mi ero fatta assumere per andare in maternità. Il clima è cambiato quasi subito. Ero sconvolta. Mi è stato fatto pesare che sarei stata via per mesi, sono iniziate le critiche sul mio lavoro, fino a quando il mio superiore me l’ha detto dritto in faccia “ci costi troppo, non ti possiamo tenere”. Mi hanno detto che per ragioni di bilancio non avrebbero potuto confermarmi il contratto. Peccato che poco dopo abbiano fatto due concorsi per assumere. E così sono rimasta a casa con la gravidanza in corso. Sono stata così male, che ho avuto problemi, rischiavo il parto prematuro». È andato tutto bene. Il bambino è nato e Anna è una mamma felice. «Mio figlio è la mia gioia, ma le donne che hanno perso il lavoro per diventare madri conoscono da vicino come è la nostra società. Fare famiglia, portare nuove forze a una popolazione sempre più vecchia dovrebbe essere un valore, invece no, ti devi sentire quasi in colpa perché sei incinta». Tra un po’ inizierà a cercare un nuovo lavoro.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità