Bruno e Gabri in trincea da quattro anni 

La coppia di irriducibili che ha detto no a Benko, continua a vivere nell’attico del palazzone di via Garibaldi ormai vuoto


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Vede questa girandola? Serve per comunicare ai nostri conoscenti che siamo sempre qui. Nella nostra villa all’ottavo piano». La girandola arcobaleno, piantata in mezzo ai vasi di gerani sul terrazzo, è la risposta a chi, nelle ultime settimane, è tornato a chiedere a Bruno Lorenzi e a sua moglie Gabriella Cecchelin, 79 anni lui e 77 lei, se è vero che hanno lasciato l’attico del palazzone al civico 20 di via Garibaldi.

Alla fine del mese, con la demolizione del vecchio deposito delle ferrovie in via Renon, partirà l’operazione Benko, destinata a rivoluzionare completamente il quadrilatero tra via Garibaldi, via Alto Adige, via Perathoner, viale Stazione. Ma la coppia Cecchelin-Lorenzi, smentendo quanti credevano che dietro alla loro ostinazione ci fosse in realtà un gioco al rialzo, è più che mai decisa a non mollare.

E questo l’immobiliarista austriaco Renè Benko e il commercialista Heinz Peter Hager, il suo braccio destro a Bolzano, non l’avevano messo in conto.

Ormai nel palazzone, progettato dall’architetto Ronca e destinato ad essere abbattuto e ricostruito, sono rimasti solo loro: Benko ha comprato uno per uno i 50 appartamenti, ad eccezione dell’attico e di un appartamento di proprietà di un’agenzia immobiliare bolzanina che tiene duro quasi sicuramente nella speranza di alzare ulteriormente il prezzo.

Per questo fa un certo effetto entrare nel condominio desolatamente vuoto.

«Se ne sono andati tutti, quattro anni fa - racconta gli irriducibili -: i proprietari locali entusiasti perché Benko ha pagato bene; le famiglie di immigrati che erano in affitto disperate».

Dei due ascensori, in funzione ce n’è solo uno. Si preme l’ultimo pulsante per salire nell’attico. Lorenzi e sua moglie sono arrivati lì nel 1969, prima vivevano al terzo piano; poi è morta la signora che abitava in cima al palazzo e, con non pochi sacrifici, si sono comprati oltre alla appartamento più grande, un panorama invidiabile.

«Dal terrazzo, dove mangiamo in estate, ci godiamo la vista sul Catinaccio; dall’altra parte abbiamo il campanile del Duomo e piazza Walther. Basta questo per spiegare, perché non vogliamo andarcene. E comunque è una questione di principio: le persone vanno rispettate. Non si può pensare che tutto abbia un prezzo. Per noi non è così».

Due ossi duri: Bruno, un passato da dirigente della Funzione pubblica della Cgil, e Gabriella, consigliera comunale negli anni ’80 della Lista alternativa di Langer. Che non hanno ceduto né davanti ai soldi né davanti agli attici.

«Alcuni anni fa Hager ci ha invitati nel suo studio e ci ha messo davanti tre o quattro piantine di attici in giro per la città: uno era in vicolo Mendola, un altro in via Cesare Battisti. Sono arrivati anche a proporci di trasferirci dietro la garanzia che, quando avranno ricostruito il complesso, potremo tornare. Ma noi abbiamo risposto sempre nello stesso modo: no. Anche quando hanno provato a convincerci attraverso dei nostri amici che ci spiegavano che erano più i vantaggi ad andarcene che a restare. Ormai ci hanno rinunciato».

Sperando però che, rimasti soli nel palazzone deserto, prima o poi avrebbero alzato bandiera bianca.

Previsione sbagliata, almeno finora.

Quando si sono bloccati entrambi gli ascensori, si sono impuntati ottenendo che almeno uno venisse riattivato.

Stesso discorso per il riscaldamento: «All’inizio hanno tentato di non accendere l’impianto, ma sono stati costretti ad arrendersi. In questo palazzo c’è un impianto di riscaldamento a pavimento e per scaldare il nostro appartamento, devono scaldarne cinquanta vuoti. Un conto salato: 60 mila euro l’ultimo inverno. Che moltiplicati per questi quattro anni sono oltre 200».















Altre notizie

Attualità