Famiglia De Concini, dalla Val di Non alla lontana America

Upad, oggi la presentazione del libro di Vittorio Cavini L’emigrazione negli Usa a fine Ottocento: una nuova patria


di Gigi Bortoli


MERANO. Oggi, alle 15.30 presso il Centro della cultura, per l’organizzazione dell’Upad, presentazione del libro di Vittorio Cavini, “Una storia vera - epopea della famiglia De Concini. Nel libro si racconta della famiglia De Concini, che affonda le sue radici nel Trecento fiorentino, ma che, in particolare affronta le vicende famigliari di coloro che da Casez emigrarono, alle fine dell’Ottocento, negli Stati Uniti. Una storia di emigrazione e sofferenza, duro lavoro nelle miniere e lenta emancipazione fino a fare della famiglia De Concini, una sorta di famiglia Kennedy a Tucson in Arizona. «In questi anni - racconta Vittorio Cavini, che per l’occasione avrà quale interlocutore Enzo Nicolodi - l’emigrazione da Paesi sconvolti dalla guerra o dalla fame è uno dei grandi temi del momento. Ogni partito lo affronta con accenti diversi, anche profondamente contrastanti, e anche la popolazione ne è toccata. Incredibilmente però pare ci stiamo dimenticando che l’Italia è uno dei paesi nei quali l’emigrazione ha toccato profondamente le vita dei nostri nonni. Anche in Italia la crisi stava sconvolgendo la nostra vita. Fame, carestia, epidemie erano ormai la norma. Per molte famiglie, nel secolo scorso, l’emigrazione di uno o due figli verso gli Stati Uniti o verso il Brasile era una drammatica necessità. Voleva dire una bocca in meno da sfamare e la speranza di un nuovo sia pure improbabile guadagno».

«Questo libro affronta il problema dell’emigrazione dall’Italia e specialmente dal Trentino con molti dettagli che oggi i nostri figli e i nostri nipoti neppure conoscono. La fuga dalla fame era motivata sempre dalla speranza di un futuro migliore. Il più delle volte purtroppo la vita nei nuovi Paesi si mostrava altrettanto dura e priva di sbocchi. Negli Stati Uniti c’era lavoro nelle miniere di carbone, comustibile che era allora l’unica forma di energia per far funzionare le fabbriche del Nord», ancora Cavini. «Negli stessi anni gli Usa erano coperti da una ragnatela di strade ferrate, ed un’altra forma di lavoro per i nuovi emigrati era quella di porre traversine sui binari con qualsiasi stagione. Forse solo le vecchie canzoni ci ricordano i drammi di quegli anni: “Mamma mia - ricordava una delle più note - dammi 100 lire che in America voglio andar...” In ogni paese erano appesi i manifesti delle società che organizzavano il trasporto. Partivano ragazzi di 14, 15 anni, assolutamente impreparati ad un viaggio così impegnativo, tutti alla ricerca dell’America. Chi l’America l’ha trovata sul serio è stata la famiglia De Concini, il cui primogenito è partito da Casez in Val di Non, del tutto impreparato. I De Concini nel corso degli anni hanno fatto capo tutti a Tucson in Arizona. E non solo hanno avuto fortuna, ma hanno contribuito alla formazione della civiltà in quel lontano paese. Questo libro è la storia di Ivo De Concini. Gli emigranti che in questi giorni arrivano in Italia e in Europa ben raramente hanno fortuna», spiega l’autore.

«I governanti del nostri Paese e dei Paesi vicini rifiutano di affrontare il problema con coraggio e saggezza, dimenticando che un secolo fa i nostri emigranti spesso sono stai accolti non certo con la durezza con la quale invece noi accogliamo gli emigranti di oggi. Accanto alla storia di questa famiglia, inoltre, si racconta anche uno spaccato della Val di Non: la fine della coltivazione dei gelsi e dei bachi da seta e delle prime mele coltivate sull’altopiano. «Giuseppe (Little Joe ) e Carlo - chiude Vittorio Cavini - avevano entrambi trovato la loro America. Erano partiti da case poveri ed affamati ed ora avevano un lavoro, dollari sonanti, una prospettiva di vita sicura in quell’immenso Paese che diventerà la loro patria».













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