Folla per Maura Delpero: «Crescere in questa realtà bilingue mi ha formato»
Dopo il successo al festival di Venezia Filmclub esaurito per l’anteprima di «Vermiglio» con la regista bolzanina
BOLZANO. Maura Delpero, una grande regista cresciuta in un piccolo posto, la frazione di San Giacomo di Laives. Ha fatto tutto da sola, e lo rivendica. Filmclub esaurito domenica sera per l’anteprima di «Vermiglio», il film con cui Maura Delpero ha conquistato il Leone d’Argento alla Mostra del cinema di Venezia. Ed è solo l’inizio. «Al momento è il film italiano più selezionato dai festival internazionali», racconta, reduce dalla presentazione al Festival di Toronto. Per non parlare dell’Oscar. «Vermiglio» è in corsa per rappresentare l’Italia nella categoria del film straniero.
Ma il fine settimana è stato dedicato a «casa». Sabato la gioia, il successo travolgente della proiezione a Vermiglio, il paese della Val di Sole in cui il film è ambientato, con i suoi paesaggi, il dialetto e i visi dei tanti attori non professionisti. Una storia ambientata nel 1944, la piccola comunità chiusa che si trova a ospitare un disertore siciliano, bello e silenzioso.
Sabato la prima a Trento, poi a Bolzano. Un lungo applauso nel Capitol che l’ha vista crescere. Il Bolzano film festival ha ospitato i suoi film, prima del successo incredibile di «Vermiglio».
Maura Delpero è arrivata al Filmclub con la figlia Caterina e il marito Santiago Fondevila Sancet, attore nel film. È stata una festa in famiglia nella sua città (ha frequentato il liceo linguistico al Rainerum). In platea la madre Maria Cristina Brunini, raggiante, la zia Fernanda, i cugini bolzanini, amici di giovinezza. Dopo la proiezione abbracci e fotografie. «Tutti ci siamo permessi di essere un po’ orgogliosi del suo successo», così il presidente provinciale Arno Kompatscher, in sala con la moglie Nadja Ahlbrecht. Idm e la Provincia (ripartizione Cultura italiana) hanno sostenuto il film dall’inizio. Un finanziamento pubblico fondamentale, insieme a quello degli altri enti, ribadisce la regista: «Io sono l’esempio di come si possa fare qualcosa di importante dal nulla. Ho imparato da sola, comprando una camera e sbagliando. Senza il finanziamento pubblico che si basa sul merito non ce l’avrei fatta». Il trionfo veneziano è arrivato al suo secondo lungometraggio dopo «Maternal» (2019). Maura Delpero ha studiato a Bologna e Parigi, vive tra l’Italia e Buenos Aires. «Ho sempre provato fastidio per una certa cecità che circonda l’Alto Adige e la sua realtà bilingue. La mia storia mi dice invece che vivere accanto a persone di cultura diversa è formativo, eccome», racconta nel colloquio sul palco con Luigi Loddi (presidente del Filmclub). E sorride: «Abitare i confini può essere molto utile». «Vermiglio» racconta una storia difficile, fatta anche di rapporti ruvidi, povertà, tradizioni che imprigionano le persone.
La regista posa il suo sguardo gentile, non giudicante su questo mondo da cui proviene la famiglia del padre. Non è una cartolina. «Non volevamo che lo fosse. Sappiamo che queste terre sono meravigliose, mi interessava fare vedere come l’ambiente rispecchi gli abitanti», racconta, «In montagna le persone sono silenziose. Sembrano duri, in realtà è una forma di sobrietà. E abbiamo incontrato una grande accoglienza. La montagna ti insegna ogni giorno che c’è qualcosa più grande di te».
«Vermiglio» è stato paragonato al film «L’albero degli zoccoli» di Ermanno Olmi. «Lo amo molto, quel film è stata la mia prima emozione cinematografica, ce lo proiettarono alle scuole elementari. Come Olmi, ho voluto lavorare con persone del luogo. Ho difeso l’uso del dialetto, perché fare parlare i miei protagonisti in italiano sarebbe stato un falso storico. La naturalezza che ora viene apprezzata nel film deriva da queste scelte a monte».
La sua scuola di San Giacomo tornerà più avanti nel racconto. Uno dei protagonisti di «Vermiglio» è un maestro, il patriarca dei Graziadei. Spende i pochi soldi della famiglia per acquistare dischi di musica classica. Li porta in classe e insegna ai piccoli montanari come si ascolta Chopin e Vivaldi («riconoscete il canto degli uccelli? E questo è il vento»). Quella lezione è vera. «Appartiene sempre alla mia scuola elementare», racconta Maura Delpero. Il film è nato da un sogno. «Mio padre era morto da poco, l’ho sognato piccolo bambino felice nella sua Vermiglio. Ho iniziato a scrivere, prima per lenire il dolore, poi un po’ alla volta sono arrivate le immagini. Allora ho intervistato le mie zie, Nanda, che è qui in sala, e Flavia, morta durante la lavorazione del film. E poi sono andata dagli anziani del paese. Sono state infanzie dure, hanno avuto bisogno di una intera vita per elaborarle». E adesso, c’è un film già in elaborazione? «Adesso giro per promuovere “Vermiglio”. E poi dormirò tanto. Ma visto che spesso la mia parte creativa coincide con i sogni, forse qualcosa accadrà...».