TRENT'ANNI FA

Giuseppe Marcello, re di stoffe e tessuti. Prima un piccolo negozio, poi l’impero 

Il capostipite della famiglia di commercianti. Originario di Villanova (Rovigo), nel 1950 aprì il primo punto vendita in piazza Domenicani La prima guerra sul Carso e sul Piave, poi pizzicagnolo in Veneto. La trattoria a Frangarto. Infine prima la passione per gli scampoli, poi per la seta


Alberto Faustini


C’era una volta Bolzano. Ripubblichiamo la testimonianza rilasciata nel 1990 al nostro direttore Alberto Faustini da Giuseppe Marcello, capostipite della famiglia di commercianti di stoffe e tessuti, mancato nel 1996. Nel 1950 insieme ai figli aprì il primo negozio di tessuti, abbigliamento e biancheria per la casa in piazza Domenicani. La ditta oggi esiste ancora, ha sede in via Volta ed è gestita dai nipoti. Se volete rileggere una storia, scriveteci a: bolzano@altoadige.it.

Prima un piccolo negozio. Poi un autentico impero. Dagli scampoli così richiesti nel primo dopoguerra, alle sete pregiate che tanto piacevano alle mogli di alcuni professionisti della Bolzano d’un tempo. Dagli asciugamani ai tappeti. Dai primi abiti di gran nome alla “costruzione” di una città immaginaria, che riscopriva il benessere (e, talvolta, anche l’autentica ricchezza) nel vestito nuovo e in una tappezzeria moderna. Ecco, in poche righe, la storia dei Marcello. Giuseppe Marcello il 29 maggio (del 1991, ndr) festeggerà i 95 anni. Da pensionato felice. Da uomo che ha combattuto la Grande Guerra in prima linea, sul Carso e sul Piave, ma anche da distinto signore che nel corso del secondo conflitto mondiale ha lasciato la povera Villanova, in provincia di Rovigo, per fare fortuna a Bolzano, in una città ancora tutta da inventare. Ha un segreto? Forse. Il suo lavoro gli è sempre piaciuto. E non è un caso che oggi i suoi figli percorrano ancora la strada che aveva tracciato, assieme alla moglie Maria, oltre 40 anni fa. E così i suoi nipoti e un giorno, facile immaginario, anche i suoi pronipoti. Dice di essere “ormai arrivato alla fine della trasmissione”, ma nei suoi occhi sboccia ancora, con freschezza, la vitalità. «Una vita tra le stoffe, la mia. Una vita entusiasmante, ricca di episodi suggestivi. Tutto diventa più facile – racconta Giuseppe Marcello – quando ci si trova in una bella città e con un lavoro capace di dare grandi soddisfazioni».

In Alto Adige, con mia moglie Maria e con i nostri sei figli, sono arrivato nel 1948.

Negli occhi, ancora i ricordi della prima guerra mondiale, combattuta sempre in prima linea. Sul Carso e sul Piave sono stato fortunato. Tanto fortunato. In quel conflitto così triste, che s’è lasciato dietro tanta povertà e tanto dolore, non mi sono procurato nemmeno una ferita.

Finita la Grande Guerra, ritornato nel mio paese, a Villanova, in provincia di Rovigo, ho messo in piedi la mia attività. Mi chiamavano il pizzicagnolo. C’era un po’ di tutto, nel mio primo negozio: dagli alimentari alle stoffe. Io ero dietro al banco dei salumi, mia moglie si occupava invece dei vestiti e della biancheria. Gli affari non andavano male.

Ma lo spazio era limitato e volevamo fare un salto di qualità. Nel ‘45 abbiamo allora deciso di spingerci fino a Bolzano e abbiamo trovato una casa in via Druso.

Una trattoria a Frangarto

In tempo di guerra vivere a Bolzano era praticamente impossibile. Ci siamo allora spostati a Frangarto, dove abbiamo messo in piedi una trattoria. Alla fine del conflitto, nessuna esitazione: siamo tornati a Bolzano e abbiamo creato il nostro primo negozio.

S’è puntato subito sui tessuti. Quel settore piaceva a mia moglie fin da quando eravamo in Veneto. Ci pareva, quello dei tessuti, il ramo giusto per sfondare.

Nel 1948 trovammo casa in via Cappuccini, al numero 4. Nel ‘50 abbiamo aperto il negozio di piazza Domenicani. Davanti al negozio, a quel tempo, passava il tram. Uno partiva dalla stazione, passava in piazza Walther, in piazza Domenicani, in via Cappuccini, in piazza Verdi, in viale Trento e andava poi verso San Giacomo e Laives. Un altro percorreva via Goethe e il centro e portava i passeggeri a Gries. In città c’erano ancora i segni del bombardamento. Alcune chiese erano semidistrutte e anche la nostra casa non era messa molto bene. Pochi anni dopo ci siamo comunque spostati di qualche metro per sistemarci nel palazzo che c’è tra la stessa via Cappuccini e piazza Domenicani.

Dagli scampoli alla seta

All’inizio la gente veniva da noi soprattutto per acquistare qualche scampolo. I bolzanini cercavano ritagli, pezze, tessuti per grembiuli, scozzesi, cappotti e le stoffe con le quali si facevano i vestiti gessati. Qualcuno, con gli scampoli, andava poi da un sarto. Altri si arrangiavano.

Dopo qualche tempo abbiamo iniziato a puntare anche sui tessuti di marca. Il vecchio sindaco Ziller, ad esempio, veniva ad acquistare la stoffa di Ermenegildo Zegna o di Giordano. Le autorità cercavano tessuti pregiati. Ricordo ad esempio l’avvocato De Angelis, a quel tempo presidente dell’ordine degli avvocati, che sceglieva personalmente le stoffe.

Da noi, però, non venivano certo solamente le persone importanti. I professionisti, in tutti i casi, sono sempre stati tra i nostri clienti migliori.

Le signore bene, in quegli anni, cercavano la seta. Quasi non si sapeva cosa fosse. Ci siamo subito dati da fare e siamo riusciti a farla arrivare da Como. Nel ‘55, tanto per fare un esempio, le mogli del professor Polacco e del professor Settimi – due medici molto noti in città – amavano particolarmente gli indumenti di seta. Riuscivo ad accontentare i clienti più esigenti anche grazie alla collaborazione dei miei figli, che ben presto hanno deciso di tuffarsi in questo settore.

Fin dal primo dopoguerra, uno ha tenuto la contabilità, uno ha seguito il negozio, l’altro s’è occupato degli acquisti e il quarto ha creato, se così si può dire, le vetrine.

Dopo un po’ di anni, quando i figli di sono sposati, sono nati i nuovi negozi: nel ‘55 un figlio ha aperto la succursale di Oltrisarco, nel ‘58 Tarquinio ha creato il negozio di via Torino; il terzo e il quarto mandano avanti il negozio di via Goethe (un tempo in via Isarco) e alcuni negozi a Merano.

Non parliamo d’impero della stoffa, per carità. Siamo contenti, è vero, ma abbiamo lavorato molto e, soprattutto, abbiamo fatto un lavoro che c’è sempre piaciuto e nel quale abbiamo creduto molto, fin dall’inizio. Chi lavora in proprio deve però anche saper superare molte difficoltà.

La parrocchia e… la boxe

I miei figli, quando erano giovani, si trovavano con gli amici al “Monica” e facevano la “vaschetta” di via Museo. Altre volte andavano invece al Grifoncino. Carletto era iscritto anche al Motoclub, con Giannotti, Bassetti e Facchinelli. Tarquinio, che in famiglia chiamiamo Francesco, era iscritto al Cai e ha sempre amato la montagna. Spesso in montagna Tarquinio andava con sua sorella Antida.

Ugo invece si era iscritto al Conservatorio. Amava la lirica e aveva, obiettivamente, una buona voce. Andava a lezione dal maestro Sette. In quel periodo, mi ricordo, Ugo andava sempre ai concerti del grande Arturo Benedetti Michelangeli, che a Bolzano era di casa. Il pianista arrivava, tutto vestito di nero, su una piccola Alfetta (nera) che i ragazzi chiamavano “Disco volante”. In quegli anni i miei ragazzi ascoltavano anche i concerti lirici che si svolgevano all’aperto in piazza Vittoria o al Ciarda, dietro al cinema Corso. Al Ciarda c’era una piccola arena all’aperto.

Tarquinio andava lì per vedere il cinema, ma anche per seguire molti incontri di boxe.

Io e mia moglie, in quegli anni, ci dedicavamo all’Associazione cattolica. Si dava una mano in parrocchia, con il consueto impegno. Con noi, anche i De Guelmi e i Podini.

Al Ciarda, invece, Tarquinio seguiva le prime manifestazioni pugilistiche. C’era la mitica squadra di Bolzano allenata da Di Curti. I pugili erano Pitilli, i fratelli Ciardi, Vicentini, Arcero, Meneghini e Negri. Le manifestazioni sportive erano molte, anche al Druso e all’ex Gil.

Bolzano, la città ideale

In Veneto sono tornato solo per rivedere i miei fratelli. Non ho però mai lasciato Bolzano, una città che s’è rivelata ideale anche per i miei figli. Quando ho visto che qui si poteva stare bene ho venduto tutto e non ho più avuto rimpianti. Ho lavorato fino a dieci anni fa. Poi i miei figli mi hanno detto di smettere, spiegandomi che ho lavorato abbastanza. Ed è giusto così, non c’è dubbio. Ormai – dice Giuseppe Marcello con sottile ironia – sono arrivato alla fine della trasmissione.

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