Bolzano

I bravi ragazzi del Galilei: disinfettanti e tamponi per aiutare i compagni 

La lotta al Sars-CoV-2. Due anni di forte impegno per tenere lontano il virus dall’istituto 


Davide Pasquali


BOLZANO. Prima edizione del premio Eureka per nuovi inventori tra gli 8 e i 18 anni, un bando provinciale ideato per promuovere le discipline scientifiche tra i ragazzi altoatesini. Il concorso è organizzato dall’Ufficio politiche giovanili della Ripartizione cultura italiana con il supporto di numerosi altri enti e associazioni. Contestualmente al concorso, sul giornale Alto Adige, partner dell’iniziativa, viene pubblicata una serie di servizi dedicati a questi giovani talenti, sperimentatori e inventori. A tale proposito, chiediamo a scuole, associazioni, gruppi o singoli di segnalare le loro invenzioni al nostro indirizzo email: bolzano@altoadige.it.

La seconda puntata di questo filone viene raccontata dal professor Raffaele Fiorini, dell’Iiss Galileo Galilei. Riguarda disinfettanti autoprodotti, di prima e anche di seconda generazione, molto più efficaci di tanti altri in commercio, tamponi per verificare la carica batterica di banchi e sedie, sensibilizzazione dei compagni. Coinvolte quattro classi, in totale una sessantina di ragazzi.

Il progetto

Tutto è partito l’anno scorso, dopo i primi casi segnalati a Codogno, quando in pochi avevano capito cosa poi ci avrebbe travolto. Il professore racconta: «Prima c’è stata la settimana di vacanza di carnevale. Al ritorno a scuola, assieme alla tecnica di laboratorio Gaia Gottardi, ci siamo detti: ma perché non proviamo noi a produrre del gel igienizzante? Abbiamo trovato la formula consigliata dall’Oms, con minimo il 70% di alcol etilico. Quando i ragazzi sono rientrati a lezione li abbiamo coinvolti nella produzione: gel per tutta quanta la scuola». E non solo. Non dimentichiamo infatti che in quel periodo non c’erano gel sul mercato. «Due scuole del vicinato ci hanno chiesto di dare loro una mano, lo abbiamo fatto volentieri». Il professor Fiorini è uomo pragmatico, un problem solver, agisce libero senza tanti fronzoli. «Le prime volte andavo io all’Aldi a comprar l’alcol». La preside ha entusiasticamente appoggiato, si è finanziato, ma si era partiti prima, senza farsi bloccare dalla burocrazia. L’emergenza presupponeva metodi spicci.

Ma gli studenti non si sono limitati a produrre il gel disinfettante, il progetto didattico è stato molto più ampio. «I ragazzi del quarto e quinto anno del chimico e del sanitario hanno anche testato l’efficacia del prodotto che avevamo preparato in laboratorio». Il che si è tradotto in tamponi, non sulle persone bensì sulle superfici. «Attraverso l’analisi della carica batterica, non del virus intendiamoci, ma sappiamo che la pulizia abbatte anche la carica virale. Analisi prima e dopo l’utilizzo del gel disinfettante. Si sono effettuati anche tamponi sulle mani, si è analizzata anche la gradazione alcolica». Ma non è finita qui, tutt’altro. «All’inizio di quest’anno scolastico ci è venuta un’altra idea, e devo ringraziare di cuore tante persone, perché si è trattato di un grandissimo lavoro di équipe».

Oltre alla tecnica di laboratorio Gaia Gottardi, che ha avviato il progetto assieme a Fiorini, hanno collaborato anche i professori Elisa Maccagnan, Marina Masciovecchio, Gea Sticcotti e Vincenzo Palumbo. Docenti di chimica, scienze e biologia. «Abbiamo colto la palla al balzo per fare della didattica. Abbiamo utilizzato le competenze acquisite dai ragazzi in ambito laboratoriale e le abbiamo messe in pratica».

Lo scorso agosto, prima di avviare le lezioni, si sono convocati i ragazzi di IV e V. «Abbiamo chiesto loro non solo di produrre disinfettanti ma anche di avviare un’opera di sensibilizzazione dei compagni, nelle classi. Chi meglio di loro, che studiano igiene, chimica e microbiologia, avrebbe potuto andare nelle classi a spiegare cosa siano e a cosa servano distanziamento, lavaggio delle mani, utilizzo dei disinfettanti e così via?» Ma non si è trattato soltanto di parole, bensì di fatti, concreti. Niente sterili chiacchiere, bensì azione concreta, con risultati concreti. «Sappiamo che uno dei problemi è la contaminazione crociata, quando si passa da una classe all’altra. Il nostro istituto è una scuola molto grande, però mancano le aule dedicate». Tradotto: i ragazzi passano da un’aula all’altra e se a spostarsi è un contagiato sono davvero guai. Per risolvere, si è pensato al disinfettante di seconda generazione.

«Abbiamo cominciato a produrre ipoclorito di sodio in soluzione allo 0,3%, che ha un effetto immediato». A questo punto, Fiorini chiarisce un fatto noto ma non ai più: «I prodotti che normalmente si trovano in commercio - questo accadeva soprattutto nei primi mesi della pandemia - perché agiscano sul virus occorrono 30 o 40 minuti. Lo abbiamo scoperto leggendo le schede tecniche». Cambiando le aule ogni ora, aveva poco senso usare questi disinfettanti ad azione lenta. «E allora abbiamo messo in ogni classe i dispenser del nostro disinfettante. Ogni qual volta i ragazzi cambiavano classe, lo spruzzavano su banchi e sedie, ognuno puliva i suoi».

Il professore non lo dice, ma davvero niente a che fare, il loro liquido autoprodotto, con quello distribuito poi dal ministero, che pareva più gel da capelli che altro, appiccicoso ecc. Questa strategia ha portato a risultati concreti: nemmeno un contagio in ambito scolastico. «Abbiamo tirato avanti per sette settimane, fino al primo lockdown». Si sono verificati contagi, ma non fra studenti o fra classi. «Tutti riferibili all’ambiente famigliare: virus contratto a casa o altrove». Ma ancora: non c’è stato solo questo. «Facevamo regolarmente i tamponi per verificare la carica batterica e quindi lo stato di pulizia. I ragazzi sono andati classe per classe, a mostrare i risultati. Hanno dimostrato che scambiarsi il cellulare da persona a persona non era così bello, per l’elevato pericolo di contaminazione».

Un lavoro immane, quello dei ragazzi. Quattro classi, una sessantina di studenti, che hanno lavorato a favore dei 1.300 studenti del Galilei. «Sono andati in tutte le classi, più di una volta. Hanno messo in pratica ciò che avevano imparato». E la cosa non è passata inosservata, tanto che su sollecitazione del Miur, assieme ad altre due scuole italiane, i ragazzi del Galilei sono stati premiati dal presidente Mattarella (anche se, a dirla tutta, è da marzo che si attende - fiduciosi per carità - la consegna della targa, che dovrebbe avvenire a Roma).

«Quando si è saputo del premio, quando abbiamo fatto clamore sui media nazionali, i ragazzi non ci credevano. Mi hanno detto: ma è soltanto quello che facciamo normalmente!» Anche se non proprio così normalmente. In altre scuole italiane si sono avviati progetti simili, ma usando alcol denaturato, che può dar problemi alla pelle e non è proprio indicatissimo. «Noi abbiamo seguito la formula omologata dall’Oms, servendoci di alcol etilico, quello usato per i dolci». Che non costa poco. E il Galilei ha aiutato pure all’esterno. «A un certo punto ci ha chiamati il vicecomandante dei vigili del fuoco. Gli abbiamo passato la metodica da noi seguita, poi ho saputo che ne hanno prodotto tanto, sempre con la formula usata da noi».

Il metodo didattico e umano

Fiorini è soddisfatto, i ragazzi pure. Lo si capisce quando lo incontrano in corridoio. Sorrisi, confidenze, battute. «Qualche volta mi dicono: prof ho un’idea ma è stupida. Nulla è mai stupido, tante invenzioni sono nate così. I ragazzi hanno voglia di provare a fare altre cose. Non bisogna mai fermarli. Noi, nei laboratori, in compresenza, abbiamo insegnante di laboratorio e di teoria. Dal sapere al saper fare, dal saper fare al sapere. Teoria e pratica vanno di pari passo». E il Covid, con l’impegno delle classi IV e V C del chimico ambientale e IV e V D del sanitario, è stato solo un episodio.

«Utilizziamo sempre questo approccio. Abbiamo avviato un progetto con l’università di Trieste sulla qualità dell’aria a livello microbiologico nelle grotte del Carso triestino. Siamo stati giù a fare i campionamenti. E si tenga presente che in letteratura non esiste nulla sull’argomento. Cerchiamo di coinvolgere i ragazzi, non li teniamo chiusi in aula, li facciamo uscire. I tamponi li facevamo pure prima: monitoriamo lo stato di pulizia della scuola, analizziamo l’acqua, l’aria indoor a livello chimico. Laboratorio è tutto quanto, soprattutto fuori dal laboratorio».













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