L'intervista

In pensione Valentino Pagani, il "papà" delle grandi opere

Direttore della ripartizione Infrastrutture, è andato in pensione dopo 31 anni. Dall'inceneritore al nuovo ospedale, passando per la circonvallazione di Laives. Il rammarico: «Ogni anno spesi 100 milioni, il capoluogo meritava di più»



BOLZANO. «Il capoluogo, se devo essere sincero, è un mio piccolo rammarico, perché, sotto sotto, avevo sperato di poter fare di più, in tutti questi anni. D’altra parte, anche io sono bolzanino». Sono le parole dell’ingegner Valentino Pagani, direttore della ripartizione Infrastrutture della Provincia. L'altro giorno, dopo 31 anni di servizio, ha lasciato l’amministrazione provinciale e se ne va in pensione. Scientifico al Torricelli, biennio a Trento, laurea a Bologna in ingegneria civile indirizzo architettonico, le prime esperienze in studi privati, docenze ai Geometri e all’Iti, poi l’approdo in Provincia, nel 1991.

Una carriera la sua, che, all’inizio, nemmeno lei si aspettava.

«Direi di no, una carriera di grande soddisfazione, di cui sono grato alla Provincia. Ho avuto molti oneri, ma anche molti onori. Come ingegnere ho avuto la possibilità di coordinare in pratica tutte le tipologie di opere pubbliche: scuole, ospedali, centri sociali, questo per quanto riguarda la parte edilizia; se parliamo di infrastrutture: circonvallazioni, ponti, strade, rete telematica. E sono stato responsabile unico di progetto per l’inceneritore. Un percorso direi quasi irripetibile, perché ho potuto occuparmi di tutto e di più, in entrambi gli ambiti dell’ingegneria, l’edilizia e le infrastrutture. Direi il massimo».

Un bell’impegno anche come funzionario pubblico.

«Come funzionario pubblico ho dovuto affrontare molte tematiche differenti: organizzative, amministrative, riguardo al personale, alla comunicazione. È stato davvero molto vario, interessante. Ho anche avuto la fortuna di entrate in contatto con il mondo della cultura. Diversi per formazione, per modi di lavorare, per passioni. Impostazioni di lavoro completamente diverse. Bello».

Fra i tanti progetti realizzati in questi tre decenni, quali ricorda con maggiore soddisfazione?

«Sicuramente l’aver coordinato, all’inizio degli anni Duemila, la progettazione del nuovo ospedale San Maurizio di Bolzano. Poi l’essere stato Rup (responsabile unico di progetto, ndr) sia dell’inceneritore che della circonvallazione di Laives. Sono state le tre cose più grosse, anche se non voglio affatto dimenticare quelle più piccole. L’inceneritore è stato unico. Di ponti, strade, scuole, ospedali, ne puoi costruire tanti, di inceneritore uno nella vita. Considerando l’aspetto tecnico c’è tutto: edilizia, sicurezza, biologia, chimica, meccanica, tutte le branche dell’ingegneria, della tecnica, della scienza, per non parlare delle problematiche sociali di gestione. Se costruisci una circonvallazione, il 95% sono contenti, con un inceneritore invece... La galleria di Laives poi è la più lunga dell’Alto Adige, con un’impiantistica innovativa per l’aspirazione fumi, la particolare pavimentazione in calcestruzzo. Infine tengo ad aver impostato, inizialmente, la progettazione della riorganizzazione del San Maurizio. Ho poi l’intima soddisfazione di lasciare una ripartizione ben organizzata, con tanti colleghi esperti e autonomi, che potranno sicuramente proseguire il lavoro in modo egregio».

Qual è il segno distintivo che hanno lasciato le sue Infrastrutture?

«Siamo sempre stati molto attenti a inserire le infrastrutture nel paesaggio, che fossero un muro di sostegno o una barriera acustica. Sono comunque segni nel paesaggio, abbiamo sempre voluto che fossero inseriti bene. Si pensa spesso che l’architettura abbia a che fare con gli edifici, ma l’inserimento nel paesaggio è importante anche per le infrastrutture».

Ingegnere, lei ha avuto a che fare con due presidenti, Durnwalder e Kompatscher, e tre assesori, Kofler, Mussner e Alfreider. Come si è trovato con loro?

«Intanto tengo a dire che sono molto grato alla Provincia. Da parte mia ho dato tutto quello che potevo, in cambio ho ricevuto oneri e onori, facendo una carriera che all’inizio non avrei neanche potuto immaginare. Per quanto riguarda presidenti e assessori, devo essere sincero: mi sono sempre trovato bene. Certo, nei decenni è cambiato molto, mondi diversi, età diverse. Mi sono trovato bene sia con Kofler, il primo a credere in me, sia con Mussner, anche perché mi trovavo a mio agio, avendo entrambi qualche anno più di me. Alfreider invece ha portato una ventata di giovinezza».

Cos’è cambiato, in 31 anni?

«È cambiato tanto, per via delle leggi, delle normative. Una volta poi c’erano tanti soldi in più. Bisognava lavorare in un certo modo, tentando non dico di spendere il più possibile, ma cercando di realizzare tanto. Adesso ce ne sono meno, anche se a m io avviso sono ancora sufficienti. Si deve però lavorare in un altro modo, fare delle scelte, valutare le priorità. Cercare di realizzare un’opera bella, ma magari più semplice. È cambiato poi l’aspetto della comunicazione. Prima più che altro si pensava a fare, oggi la comunicazione ha un peso maggiore».

C’è qualcosa che non le è piaciuto, lavorando in Provincia?

«In generale, quello che non mi è piaciuto dell’amministrazione, in certe occasioni, sono state le complicazioni burocratiche: troppa burocrazia, gli eccessivi formalismi. Delle volte ci si ferma un po’ troppo; non si vedono le cose nella loro sostanza, ma solo nella forma. Una cosa che a me dà fastidio è arenarsi di fronte alle complicazioni burocratiche. Se devi costruire così fai fatica. Se ti soffermi su tutti i punti e le virgole, non vai avanti. Quando iniziai, il mio primo superiore diretto mi disse: lei non deve essere troppo rigido, deve capire, sempre nell’ambito della correttezza, quanto può essere flessibile. Mi ha insegnato che occorre trovare il limite, nel senso positivo. Essere elastici».

Cosa le ha detto il presidente quando vi siete accomiatati?

«Che dev’essere una bella soddisfazione, per me, poter vedere ciò che abbiamo realizzato in questi anni. Ho svuotato gli armadi dal cartaceo dei progetti... Per consolarmi, penso che ogni volta che andrò in giro per l’Alto Adige potrò vedere ciò che abbiamo fatto. Dev’essere una bella soddisfazione vedere che in ogni angolo avete costruito qualcosa, ha detto Kompatscher. Sono d’accordo».

Anche nel capoluogo?

«Bolzano, se devo essere sincero, è un mio piccolo rammarico. Perché, sotto sotto, avevo sperato di poter fare di più, in tutti questi anni. Anche io sono un bolzanino. Penso in ogni caso che ora si siano posti i presupposti: sottopasso di via Roma, Bolzano Sud, galleria di Monte Tondo, poi speriamo di risolvere i problemi di via Einstein. I presupposti perché nei prossimi anni si possa fare qualcosa, finalmente, per Bolzano, sono concreti. Occorre poi dire che realizzare una circonvallazione di un paese, più piccolo, è meno complesso. In città è più difficile: devi mettere d’accordo tutti; tecnicamente è un po’ più complicato; ci sono varie soluzioni tecniche e il progetto deve essere completamente accettato e condiviso almeno dalla gran parte della popolazione. A Bolzano tutto è più complicato da gestire, condividere, coordinare. Lo ripeto: anche io speravo di fare di più. Alla fine me lo chiedo anche io, tante volte: nelle strutture che ho diretto, in media, ho sempre speso circa cento milioni l’anno; è possibile che non siamo riusciti a fare qualcosa a Bolzano? Anche io faccio ogni giorno le code... Ma oggettivamente c’è una difficoltà operativa, indipendente dalle persone, dalle volontà, da chi governa. Ma i bolzanini ora devono avere fiducia: nei prossimi anni verrà costruito qualcosa».

Pagani, lei è stato un uomo solo al comando?

«Tutt’altro. Sono stato molto fortunato, ottimi colleghi e collaboratori, il clima sereno ha aiutato. E poi la famiglia: mia madre, scomparsa di recente, che mi ha sempre sostenuto. Mia moglie e i miei figli, che mi hanno lasciato libero, disturbandomi il meno possibile, lasciandomi concentrare e dandomi grandi soddisfazioni negli studi e nei loro primi lavori».

E adesso?

«Rispondo con una battuta. Sono un pentatleta: 25-30 volte l’anno a sciare, 3-4-5.000 km l’anno in bici a partire dal 2000, nuoto due o tre volte a settimana, una corsetta ogni tanto, quando posso una partitina di tennis. Per me, tempo libero significa sport». DA.PA.













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