La Cisl altoatesina: plurilinguismo e reti tra aziende per rilanciare l'economia

Intervista a Michele Buonerba, segretario del sindacato più numeroso dell'Alto Adige


Mirco Marchiodi


BOLZANO. Su una cosa imprese e sindacati sono d'accordo: l'Alto Adige deve aprirsi. Export, innovazione, plurilinguismo: sono i grandi temi sollevati dal laboratorio per il futuro dell'Alto Adige creato dalla Camera di commercio su cui non stanno ragionando solo le aziende, ma anche i rappresentanti dei lavoratori. «Perché - afferma Michele Buonerba, segretario provinciale del sindacato più numeroso dell'Alto Adige, la Cisl - in questo momento storico oltre che difendere gli interessi di categoria, nel nostro caso lavoratori e pensionati, bisogna pensare prima di tutto a quelli del nostro territorio».
Un territorio che a livello economico si interfaccia poco con l'estero: su oltre 40 mila imprese, meno di duemila fanno affari fuori provincia. Come si può invertire questa tendenza?
«Il fatto di esportare poco è un grosso problema. Basta guardare alla nostra bilancia commerciale, che è sempre in rosso: importiamo più di quanto esportiamo e questo è un fattore negativo. Non basta nasconderci dietro al fatto che le nostre imprese sono piccole. Questo è un dato di fatto, così come è chiaro che con una dimensione media di meno di 4 dipendenti e metà delle imprese con un solo addetto è difficile andare alla conquista di nuovi mercati. Ma proprio per questo bisogna promuovere le reti tra imprese».
Di queste reti si continua a parlare, ma alla fine le imprese non collaborano...
«Perché non si sfruttano le opportunità. Il governo nazionale tra molte cose criticabili ha approvato una legge sulle reti di impresa che prevede dei vantaggi fiscali per chi crea dei cluster e poi investe. Eppure questa forma di detassazione non è stata portata a conoscenza delle imprese locali da nessuna delle associazioni di categoria locali e nemmeno la Provincia, che pure avrebbe le competenze in materia, ha pensato di aumentare il vantaggio fiscale».
Accanto all'export l'altro punto debole evidenziato dalla Camera di commercio e dall'Astat è l'innovazione. Anche qui è un problema di dimensione di impresa?
«Non solo. Sicuramente il ritardo delle nostre aziende è legato anche al fatto di avere un'università ancora molto giovane. Nemmeno la nuova facoltà di ingegneria, che pure è importante, non potrà risolvere tutti i problemi. Per vedere le prime ricadute positive sul territorio, passeranno degli anni. Ma noi non possiamo aspettare tutto questo tempo».
Quindi?
«Quindi dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo e con quello che ci viene messo a disposizione anche al di fuori del nostro territorio. Dobbiamo abbandonare il nostro provincialismo, avere il coraggio di interfacciarsi anche con altre realtà. Faccio un esempio, la Microgate dei fratelli Biasi: è una delle aziende più innovative che abbiamo, ma per la ricerca si appoggia al Politecnico di Milano».
Le imprese chiedono più contributi, la Provincia punta sul parco tecnologico: chi ha ragione?
«Il parco tecnologico oggi non ha senso. Anche noi partecipiamo al tavolo di lavoro, ma finora si è sempre parlato di muri, mai di contenuti. In questo senso la critica delle imprese è condivisibile, è costruire una struttura senza avere i cervelli da inserirci e senza avere nemmeno le imprese da insediarci. Perché la verità è che finora si sono dette interessate imprese come Memc o Iveco, che la ricerca la fanno già al loro interno».
Quindi sono meglio i contributi?
«Sì, a patto che si esca dal sistema dei contributi a pioggia con cui siamo cresciuti negli ultimi decenni. È giusto premiare chi lo merita, e quindi quelle aziende che dimostrano di aumentare fatturato e numero di addetti e che siano anche disponibili a ridistribuire il valore aggiunto creato».
La Cisl chiede stipendi più alti?
«I lavoratori vanno premiati se raggiungono determinati risultati. Ma non è solo il rapporto impresa-dipendente che va rivisto, anche la politica deve intervenire».
Come?
«Nessuno mette in dubbio che a Bolzano si viva bene, ma non si può nemmeno mettere in dubbio che qui tutto costa di più. La nostra inflazione è costantemente superiore a quella nazionale ed europea, che vengono presi a parametro quando si tratta di rinnovare i contratti di lavoro nazionali. Questo significa che una buona fetta della popolazione ha costantemente perso potere di acquisto. La Provincia potrebbe iniziare a togliere l'addizionale Irpef ai redditi più bassi».
Durnwalder ha già detto di no, non ci sono i soldi...
«Davvero? E i 24 milioni di entrate aggiuntive relative all'Iva sulle accise? O i 30 milioni potenziali della tassa di soggiorno? Ciò che manca non sono i fondi, ma la volontà politica di intervenire».
Il carovita resta un problema oggettivo...
«Ma che si può affrontare. Penso soprattutto alla riforma urbanistica. Siamo ancora fermi al 1973, alle regole decise da Alfons Benedikter. Bisogna rinnovarsi anche in questo campo, in primo luogo liberalizzando il commercio al dettaglio. Oggi non ha più senso vietarlo in zona produttiva, è questa la ragione che ha portato ad affitti esorbitanti per i negozi nei centri abitati».
E il centro commerciale?
«In materia urbanistica si ha sempre l'impressione che la Provincia si muova per fare dei favori a qualcuno. Con la liberalizzazione, questo problema sarebbe superato».
Però le imprese industriali avrebbero ancora meno aree produttive...
«L'errore è stato fatto collegando la legge Tremonti alle nostre limitazioni urbanistiche: la prima ha portato a costruire milioni di metri cubi in zona produttiva, la seconda ha vietato di utilizzarli per scopi commerciali. Il risultato è che oggi abbiamo moltissimi spazi improduttivi che tolgono terreni alle imprese che davvero ne hanno bisogno».
Le grandi opere: aeroporto sì o no?
«Non è vero che l'Alto Adige non è raggiungibile. Ampliare l'aeroporto di Bolzano non serve, dobbiamo piuttosto rafforzare i collegamenti verso Verona e Innsbruck».
Tunnel del Brennero?
«È fondamentale, speriamo solo che si costruisca davvero».
In Alto Adige la Cisl è nata come sindacato interetnico: come mai è così difficile la convivenza in Alto Adige?
«Perché ci sono ancora politici come Durnwalder che sono di una generazione troppo vecchia. Sono cresciuti in un Alto Adige che oggi è cambiato, per questo è indispensabile un cambiamento. Meglio, è indispensabile un rinnovamento».
Partendo da dove?
«Ad esempio dal plurilinguismo. I gruppi linguistici non sono più così definiti come lo erano una volta. Aumentano sempre di più le famiglie mistilingue, così come i bambini di famiglie tedesche che si iscrivono alle sezioni bilingui degli asili italiani. La politica deve prendere atto di questi cambiamenti. In questo senso mi ha fatto molto specie sentire l'Obmann dell'Svp Theiner dichiarare che bisognava portare ad iscrivere i bimbi stranieri anche nelle scuole di lingua tedesca per aumentare la percentuale di iscritti in questi istituti...».
E poi?
«Bisogna finalmente riscrivere la legge elettorale. Se davvero nel 2013 Durnwalder non si candiderà più, anche se su questo ho i miei dubbi, l'Svp rischia di perdere ulteriori consensi scendendo a 15-16 consiglieri. In uno scenario di questo tipo sarà più difficile formare un'alleanza di governo stabile, ma l'instabilità politica è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Per questo spero che si introduca una soglia minima, pari almeno al quoziente pieno. Altrimenti rischiamo una frammentazione che oggi vediamo già tra i partiti di opposizione».

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