La velocità del premier e la lentezza dei partiti


Luigi Vicinanza


Ha preannunciato un prodigio: l'applicazione dell'Ici sui beni commerciali della Chiesa. Provvedimento taumaturgico, capace di far entrare nella casse dello Stato 600 milioni secondo un calcolo dell'Anci, l'associazione dei Comuni. I laici governi di centrosinistra non avevano mai avuto il coraggio di provarci; gli atei devoti del centrodestra l'hanno sempre considerato un atto diabolico. Vedremo come andrà a finire ma almeno per una volta un premier prova a disobbedire ai desiderata d'Oltretevere.

Diavolo di un Monti; non è ancora arrivato al giro di boa dei cento giorni e già naviga spedito cercando di portare al sicuro la vecchia gloriosa ammiraglia Italia. Possono piacere o meno, ma le riforme per la prima volta si avvertono come possibili. Può dunque annunciare che il pareggio di bilancio sarà raggiunto entro l'anno prossimo e allo stesso tempo bocciare la velleitaria candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020. Per evitare ruberie, peccato originale dei grandi appalti; o meglio ancora perché sono stati svuotati i forzieri da saccheggiare.

La corruzione ci costa 60 miliardi, certifica la Corte dei Conti, rendendo ancor più amaro il ventennale di Tangentopoli. Risorse sottratte al bene comune, quasi un terzo in più di quanto ci costerà la manovra lacrime e sangue. Eppure la popolarità del Professore non cala, anzi. Parte dei provvedimenti appaiono iniqui; penso al blocco della rivalutazione delle pensioni sopra i mille euro o allo sconvolgimento della vita provato da quelle lavoratrici e quei lavoratori che a un passo dalla pensione sono stati costretti a «ritornare al via» e ricominciare in un beffardo gioco dell'oca. Ciononostante il paese sembra essersi rimesso in moto.

Persino la discussione sull'articolo 18, aspro terreno di scontro ideologico, e stata riportata in termini più pragmatici: riformabile insieme al più urgente sistema del mercato del lavoro e del sostegno a chi resta purtroppo senza occupazione. Dopo anni di barzellette berlusconiane e balbettii dell'allegra compagnia d'opposizione, gli italiani si ritrovano a fare i conti con la realtà. E ne prendono atto. Si deve cambiare, ma innanzitutto è possibile cambiare.

Monti procede spedito e la sua velocità nell'azione di governo fa risaltare la lentezza esasperante della politica politicante. Accendi la tv e ti imbatti in Gasparri, Rutelli, D'Alema: sembrano - sono - di un'altra era geologica. Sarà anche per questo che Alfano, Bersani e Casini, leader a loro insaputa della stessa maggioranza parlamentare, si sono incontrati per avviare una possibile riforma istituzionale (meno parlamentari, fine del doppione Camera/Senato) e subito dopo una nuova legge elettorale.

Un tardivo e vago risarcimento al popolo del referendum, a quel milione e 200mila italiani che chiaramente non ne può più di un Parlamento di nominati. Quando tra 14 mesi si andrà alle urne, i partiti per sopravvivere dovranno aver avuto forza e capacità di rinnovarsi davvero, fuori dalle oligarchie e dai comitati d'affari che hanno dominato nell'ultimo ventennio. Se poi Monti, approfittando dello stato confusionale di Pdl, Pd, Udc e via elencando, riuscisse anche a riformare la Rai, davvero a quel punto nulla sarebbe più come prima. E verrebbe voglia persino di dire: grazie Celentano.
l.vicinanza@finegil.it

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