Le badanti diplomate: non siamo serve

Consegnati 32 attestati a conclusione del corso di formazione di Federsolidarietà: «Una professione seria e delicata»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Arrivano da Romania, Albania, Perù, Marocco, Cuba, Slovacchia: nei Paesi d’origine facevano altri lavori, qui cercano un’occupazione come badanti. Ieri, nel vecchio Municipio di Gries, Federsolidarietà Alto Adige ha consegnato i diplomi a 32 nuove assistenti familiari che hanno frequentato il corso, finanziato dal fondo sociale europeo, della durata oltre 100 ore, suddivise tra lezioni in aula e stage: dal primo soccorso all’alimentazione, dalle tecniche assistenziali alla responsabilità civile. In base alle statistiche il 70% di chi frequenta questi corsi lavora, ma poche di coloro che ieri hanno partecipato alla cerimonia, in questo momento, ha un’occupazione. È la conferma che se fino a qualche anno fa era facile trovare lavoro, oggi non è più così. Non perché non ci sia bisogno, ma perché la crisi costringe molte famiglie ad assistere direttamente l’anziano per usufruire dell’assegno di cura erogato dalla Provincia.

«Io - dice Alfia Jemal, 26 anni, etiope residente a Trento - assisto due anziani a Magrè ma solo il sabato e la domenica, purtroppo è sempre più difficile anche in questo settore». In cerca di un lavoro anche Blanca Rosa Perez, 44 anni cubana, che lavorava in tipografia fino quando è nata l’ultima dei suoi tre figli: «Impossibile conciliare i turni con la piccola, così io che per anni avevo assistito mia nonna, ho deciso di riciclarmi come badante, frequentando questo corso».

Lidia Bacau, 54 anni, in Romania faceva la sarta e la ricamatrice, in Italia, dove vive da 14 anni, ha lavorato in albergo, poi la scelta di dedicarsi alle persone che hanno bisogno: «A Bolzano assisto un anziano. In famiglia mi hanno accolta bene e io mi sento a casa. Un lavoro pesante? Non più di altri, se ci metti la passione».

Gloria Rinco Campos, peruviana, ha 63 anni e a Bronzolo assiste un’anziana che di anni ne ha 94: «Questo è un lavoro che richiede grande pazienza e osservazione costante della persona che si cura. Vista la delicatezza di ciò che facciamo, la formazione è sempre più importante».

Dalla cerimonia di ieri è emersa la necessità di professionalizzare la figura della badante per istruirla su quelli che sono i suoi diritti ma anche i suoi doveri. «Capita spesso - ha detto Jacqueline Posada, assistente geriatrica della cooperativa Altridea - che la badante quando arriva in una casa, pur di ottenere il lavoro, si dica disposta a fare tutto: dall’assistenza all’anziano alla baby sitter per il nipotino, alla cuoca per parenti e amici. Poi succede che inevitabilmente l’anziano peggiora, la badante non può più occuparsi di tutto e nascono gli equivoci che a volte scaturiscono in cause di lavoro. Per questo non mi stanco di ripetere alle badanti che la loro è una professione e non devono svendersi. Alle famiglie dico che le badanti non si pagano in nero come invece troppo spesso accade e non sono né parenti, né amiche, ma professioniste». Nella discussione, che ha preceduto la consegna dei diplomi, c’è chi ha toccato anche un altro aspetto relativo ai rapporti che capita si logorino, perché la badante, pensando che l’Italia sia il Paese di Bengodi, alza continuamente le pretese. Migliorare la formazione può evitare situazioni spiacevoli per entrambe le parti.

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