Migranti, «la Provincia non cerca l’integrazione»

I riceratori: sbagliata la logica dell’emergenza, serve una strategia complessiva A fine 2016 in Alto Adige coinvolti solo 16 Comuni, in Trentino 45 e in Tirolo 93


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Provincia bocciata, o quantomeno rimandata, nella gestione dei profughi. L’indagine è contenuta in «Politika 2017», Annuario che quest’anno Günther Pallaver, Elisabeth Alber ed Alice Engl hanno dedicato ai richiedenti asilo nell’Euregio Alto Adige-Trentino-Tirolo. Nel mirino il ricorso sistematico alla logica dell’emergenza, la mancanza di una strategia complessiva, la concentrazione di due terzi dei migranti nel capoluogo, un approccio rigido sul tipo di accoglienza da offrire, il coinvolgimento marginale delle realtà locali, la mancata adesione allo «Sprar» e - aspetto ancora più grave a giudizio degli autori - il fatto di non aver stilato (come confermano le dichiarazioni della Ripartizione lavoro dell’agosto 2016) uno screening complessivo sulle competenze professionali dei richiedenti asilo.

Comuni ai margini. Uno dei dati più significativi emersi nello studio è che, a fine 2016, in Tirolo erano stati coinvolti nell’accoglienza 93 Comuni e i centri di accoglienza sul territorio erano circa 200, in Alto Adige erano «operativi» 18 Comuni con 27 centri di accoglienza, mentre in Trentino le località coinvolte erano 45.

La concentrazione. Ad Innsbruck, secondo lo studio, sono concentrati «solo» un terzo dei richiedenti asilo (che sono oltre 6 mila in tutto il Tirolo, in gran parte afghani e siriani), a Bolzano a fine 2016 erano circa due terzi del totale e lo stesso vale (complessivamente però) per Trento e Rovereto. Nella nostra regione sono arrivati molti africani e la percentuale di accoglimento delle richieste asilo è decisamente inferiore a quella del vicino Tirolo. La differenza di obiettivi - l’Austria ha adottato la politica delle quote, con l’imposizione di un tetto massimo - ha reso non sempre produttiva l’«Euregio Task Force». Quest’ultima è stata utile per intuire le dinamiche dei flussi ma non è mai riuscita ad elaborare un vero piano d’azione comune.

La frattura Bolzano-Vienna. La questione dei confini, con la minaccia sistematica di chiudere il Brennero, ha creato una frattura vera (e inattesa) tra Bolzano e Vienna. «Il Governo austriaco si è dimostrato disposto a sacrificare il figliol prodigo Alto Adige per meri interessi nazionali. Al punto che Bolzano si è vista costretta a chiedere aiuto a Roma». Il Tirolo, del resto, da anni è un territorio di transito con 28.500 persone a fine novembre 2015, con picchi di 1.700 persone al giorno. Lungo la tratta Brennero-Innsbruck-Rosenheim-Monaco si sono registrati nei mesi estivi fino a 600 passaggi. Di qui la necessità di creare un’unita di crisi permanente in Tirolo con minacce sistematiche di ripristinare i controlli al confine.

Alto Adige «rigido» nell’accoglienza. La Provincia ha fatto di tutto, come spiega bene l’indagine, «per non rendersi un polo attrattivo» nei confronti dei richiedenti protezione internazionale. «Ciò ha significato una gestione morbida dei passaggi alle frontiere, ma anche un’estrema rigidità nell’avvio delle procedure per lo status di rifugiato e nell’accesso alle misure di accoglienza». Rigido anche l’approccio sul tipo di accoglienza offerto. «Il dibattito si è incentrato quasi unicamente sul numero dei posti letto e sulla loro distribuzione territoriale, senza interesse al livello e alla qualità dei servizi erogati. Tutto si basa sul presupposto che l’Alto Adige non sia la destinazione finale dei richiedenti asilo, ma solo un transito in attesa delle pratiche burocratiche».

L’assessorato di Achammer lasciato ai margini. Secondo l’indagine il limite dello scarso collegamento fra le politiche di accoglienza e gli altri servizi del territorio rimanda ad un’ultima perplessità sulla gestione politico-istituzionale del fenomeno, che la Provincia ha affidato alla Ripartizione affari sociali (Critelli-Stocker) senza coinvolgere il Servizio di coordinamento all’integrazione, creato con legge provinciale del 2011 e che fa capo all’assessore Achammer. Sulla carta - osservano gli autori di «Politika» - dovrebbe occuparsi dell’integrazione dei cittadini stranieri e dovrebbe coordinare tutti gli attori e le politiche rivolti agli stranieri presenti in Alto Adige, inclusi richiedenti asilo e rifugiati. «Anche se al momento è sottodimensionato per organico e disponibilità finanziaria, esisterebbe all’interno dell’amministrazione provinciale uno strumento adatto a superare la logica emergenziale e assistenziale, che tratta il tema dei richiedenti asilo alla stregua di una marginalità sociale presente solo temporaneamente sul territorio». L’obiettivo, ambizioso ma doveroso, dovrebbe essere quello di «adottare politiche ordinarie sui diritti di cittadinanza, riconoscendo come sia un fenomeno strutturale di lungo periodo, per affrontare il quale è necessario coinvolgere al massimo i Comuni e le comunità locali e ricercare la maggiore qualità possibile nel sistema di accoglienza. Il 2017 sarà, forse, l’anno buono per andare oltre l’emergenza».

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