Morta di polmonite, medico indagato 

La vittima è una bolzanina di 45 anni. Per dieci giorni il medico di famiglia non è stato in grado di diagnosticare una situazione clinica grave La paziente aveva febbre molto alta, dolori al torace e alla schiena, e forti difficoltà respiratorie. Patologia scambiata per attacco influenzale


Mario Bertoldi


Bolzano. Nel terzo millennio è ancora possibile morire di polmonite batterica dopo nove giorni di malattia a 39 di febbre. E’ successo a Bolzano dove nella notte tra il 30 ed il 31 gennaio 2018 una polmonite che avrebbe potuto e dovuto essere curata con antibiotici a largo spettro ha stroncato la vita di una donna di 45 anni, sposata e madre di due figli. Il dramma è al centro di un procedimento penale a carico del medico di famiglia, una dottoressa del sistema pubblico sanitario, ora accusata di omicidio colposo. In sostanza la professionista è accusata di non aver diagnosticato correttamente la malattia nonostante due visite cui la vittima venne sottoposta nella fase iniziale e finale della patologia. Era il 21 gennaio 2018 quando la vittima fu costretta a letto per un violento attacco febbrile. Il pensiero è corso subito ad un attacco influenzale, diagnosi che la dottoressa indagata avrebbe confermato un paio di giorni dopo quando decise di intervenire con una visita a domicilio. Già in quella occasione - secondo l’ipotesi accusatoria - vi sarebbe stata una sorta di sottovalutazione della situazione clinica da parte della professionista intervenuta che non rilevò alcuna infezione in atto ai polmoni. Al punto che la stessa dottoressa non avrebbe ritenuto neppure necessario sottoporre la paziente ad un esame radiologico (dalle lastre le condizioni dei polmoni sarebbero risultati evidenti) nè prescrivere comunque alla donna ammalata una cura antibiotica. In sostanza la vittima sarebbe rimasta per una decina di giorni in condizioni cliniche sempre più critiche (sino ad arrivare al decesso) pensando di avere a che fare semplicemente con un attacco influenza , curandolo semplicemente con della tachipirina per cercare di abbassare la febbre. Nei dieci giorni di decorso della malattia, il marito della vittima avrebbe più volte segnalato all’indagata che la situazione era andata peggiorando e che la moglie avrebbe evidenziato sempre più difficoltà di carattere respiratorio. Un altro particolare - secondo l’accusa - che non avrebbe dovuto essere sottovalutato. Una notte il marito della vittima (comprensibilmente preoccupato) si sarebbe rivolto anche alla guardia medica che avrebbe fornito una valutazione rassicurante sulla base della diagnosi del medico di famiglia. La situazione però andò rapidamente a peggiorare negli ultimi giorni di gennaio.

Nuovamente sollecitata, la dottoressa visitò una seconda volta la paziente (che ormai evidenziava sempre più difficoltà respiratorie oltre a dolori ad una spalla, al torace e alla schiena) rilevando (con lo stetoscopio) che i polmoni sarebbero stati completamente liberi quando in realtà erano ormai intasati di liquido generato dall’infezione. Agli atti del processo c’è anche il testo di un messaggio sms che la vittima, dopo la seconda visita, inviò al fratello segnalando l’ulteriore diagnosi: “polmoni liberi, no antibiotico”. In realtà la paziente andò rapidamente incontro alla morte. Alle 4 della mattina del 31 gennaio il marito si rende conto che la moglie non riesce più a respirare, chiama l’ambulanza e fa trasferire d’urgenza la consorte all’ospedale San Maurizio. La situazione, però, è ormai irreversibile ed il decesso subentra due ore dopo. La dottoressa, medico di famiglia, è ora sotto procedimento penale per omicidio colposo.

Risarcimento da 1,2 milioni

L’assicurazione sanitaria ha liquidato ai parenti della paziente un danno complessivo di un milione e 200 mila euro. Nel processo, dunque, nessuno si costituirà parte civile. Ieri, in occasione di un incidente probatorio davanti al giudice Walter Pelino, si sono confrontati due periti (un virologo ed un medico legale) e 3 consulenti di parte. Sono emersi giudizi professionalmente pesanti nei confronti della dottoressa ma gli avvocati difensori Federico Fava e Miki Eritale contestano la ricostruzione della vicenda sotto il profilo della presunta responsabilità colposa, pronti a fornire una lettura alternativa delle tappe del dramma.













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