«Noi infermiere siamo un ponte d’umanità nella tempesta» 

La testimonianza di Marilena Malizia infermiera al S. Maurizio «Faccio questo lavoro da quando avevo 16 anni, per me è stata una veravocazione. Ma non ero pronta a tutto questo. È un'esperienza durissima Quello che mi colpisce sono gli sguardi dei pazienti pieni di angoscia»



Bolzano. Stravolti dal lavoro e da una malattia che non assomiglia a nulla di quanto hanno incontrato finora. Turni di 12 ore, arrivare a casa e spogliarsi nel giroscale per la paura di infettare chi ami. Medici, infermieri, inservienti e tecnici. Marilena Malizia è una infermiera dell'ospedale di Bolzano. Non lavora nel reparto Covid, «ma ci siamo dentro tutti, perché ci ammaliamo o abbiamo paura del contagio, perché giriamo coperti dalla testa ai piedi e siamo a contatto con pazienti che possono essere positivi».

Ci racconta l'infermiera Marilena?

Ho messo piede la prima volta in ospedale a 16 anni, ora ne ho quasi 52. Il lavoro più bello del mondo. Ho deciso di fare l'infermiera, anzi sono una infermiera. Questo lavoro è una vocazione. Sono infermiera con tutta la mia pelle, con il cuore e con l'anima. Stiamo vivendo in un periodo tristissimo, pieno di sofferenza più del solito. Con gli anni diventi esperta in tante attività quotidiane da espletare durante il tuo lavoro. La malattia e la morte fanno parte della nostra quotidianità, lo sono sempre state. Ma non ero pronta a tutto questo.

Perché anche per voi il Coronavirus è qualcosa di diverso? La sofferenza è il vostro pane quotidiano, come la speranza e la guarigione. Evidentemente non è solo un problema di numeri.

Questo virus ha la potenza di strappare via insieme alla vita anche l’ultima carezza, l’ultimo sguardo di chi ti ha amato. E muoiono soli. Niente lacrime. Niente messe. Niente funerali. I parenti non piangono i loro morti davanti a una bara, restano a casa. Psicologicamente tutto ciò è devastante per tutti. Essere infermiera è un ponte di umanità. È il ponte che porta ad assistere senza alcun pregiudizio, il ponte che indica l’esserci, che sa prendersi cura dell’altro oltre ogni categoria di religione, di etnia, di paese, di lingua, di malattia. Tutta la mia pratica clinica, la formazione, l'organizzazione, è importante, ma in questo momento la cosa più importante è stata ed è trasmettere umanità. Ora più che mai l'azione più significativa sono i gesti. Il gesto ha un di senso sia per chi lo effettua, sia per chi lo riceve. È una azione dettata da intenzionalità e intensità. Io dono dei gesti per dare senso a me, alla mia vita, alla mia responsabilità, al mio essere Marilena. In questo momento così tragico un gesto, anche il più banale, acquista un significato maggiore. In questi giorni quello che mi colpisce sono gli sguardi dei pazienti, pieni di paura, di timore, d’angoscia. Molti stanno in silenzio. Una mano sfiorata, uno sguardo incrociato, un saluto inatteso, allontanano ogni timore, seppure per poco. A causa del nostro vestiario la relazione con il paziente è ostacolata.

Le vostre protezioni sopra al camice sembrano mettere a disagio tanto voi, quanto i pazienti.

L'unica cosa che possono vedere sono gli occhi. Occhi che spero facciano trasparire il nostro esserci. Anche poche parole per fare capire che noi siamo lì con loro e per loro, come prima, adesso e anche dopo tutto questo. Si è sempre soli davanti alla morte, poi è arrivato questo str... di Covid.

Massacrante, ma il turno poi finisce.

E quando torni a casa da tuo figlio devi sorridere, ma con gli occhi non è possibile. Non devi portarti il lavoro a casa, ma ora più di prima ciò non è proprio possibile.

Siete soli con i pazienti. Vi ammalate e aiutate. È diventato facile chiamarvi eroi, ma non vi piace. Perché?

Non mi sento un “eroe”. Mi sento e sono una infermiera come tante. Come tutti i miei colleghi, appena entriamo in ospedale tiriamo fuori una forza, una energia positiva e meravigliosa. Noi infermieri siamo sempre stati presenti e vicino al prossimo, spesso silenziosi. L'unica differenza è che ve ne siete accorti ora. I morti da o per Coronavirus (cambia poco) diventano numeri, puntini sulle curve della statistica. Non hanno nomi, non hanno età, non hanno volto. Sono morti per Covid-19, eppure erano vite. Vorrei dire una cosa a chi ha voglia di ascoltare: pensate a questo, quando vi lamentate in fila al supermercato o quando da olimpionici mancati volete fare sport a tutti i costi. Pensateci. FR.G.













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