«Noi prigionieri delle grandi catene»

Il racconto di quattro commessi bolzanini sempre in turno nei festivi. Serafini (Uil): «Un insulto alla civiltà»


di Massimiliano Bona


BOLZANO. C'è chi, le liberalizzazioni volute da Monti, non le ha ancora digerite. O meglio, continua a lottare per limitarne gli effetti. Stiamo parlando dei commessi bolzanini, molti dei quali saranno in turno anche il giorno della festa dei lavoratori. Qualcuno, tra l’altro, è stato assunto con il vecchio contratto che non prevede l'obbligo di lavorare tre domeniche consecutive, ma i datori di lavoro sembrano non curarsene più di tanto. La prossima battaglia è il primo maggio. C'è chi ha già comunicato al proprio titolare che non intende lavorare e che dovrà fare i conti con le inevitabili sanzioni. Silvia Ebben, portavoce del gruppo "Domeniche no grazie Trentino Alto Adige", ha raccolto diverse testimonianze, con la promessa dell'anonimato (che rispettiamo) raccontando però le singole storie. Ed è chiaro, dal contenuto delle email, che a rivolgersi a lei (e a noi) sono stati soprattutto i dipendenti delle grandi catene. O dei (molti) negozi in franchising del centro storico. «Il mio responsabile - racconta un commesso - mi ha chiesto se ricordavo come era andata, a livello di incasso, lo scorso primo maggio. Avevamo lavorato io e lui. Gli ho spiegato che non mi ricordavo e che comunque non avrei lavorato perché il contratto non lo prevede. Si è infuriato e mi ha detto testualmente "Ti metto assente ingiustificato e farai i conti con la B.", che è la nostra direttrice commerciale. Non ho replicato e non mi smuovo dalla mia idea. Sono un lavoratore e non uno schiavo. So, purtroppo, che pagherò le conseguenze di tutto».

Un'altra lavoratrice, assente nell'ultimo periodo per problemi di salute, racconta che nella sua catena (del centro) comunicano tutti via whatsApp. «La responsabile mi ha scritto, ma potevano leggerlo anche i miei colleghi, che sto male solo quando si tratta di lavorare fino a mezzanotte. Sarà un caso, ma solo io ad aprile non ho avuto un fine settimana libero. Ho lavorato a Pasqua e il 25 aprile e ora mi tocca il primo maggio. Stare con la mia famiglia sembra impossibile».

C'è poi una terza commessa di un punto vendita del centro che se la prende anche con i consumatori. «C'è chi entra e dice: certo che oggi è festa e potevano lasciarvi a casa. E si tratta di persone che si presentano alla cassa anche solo con un litro di latte. Chi lo fa giustifica l'apertura. Posso dire che nel nostro punto vendita non ci offriamo volontari, ma veniamo messi in turno e basta. Spero che qualcosa cambi, soprattutto nella testa delle persone che non hanno un minimo di solidarietà nei nostri confronti». Il primo maggio lavorerà ma non per scelta.

Silvia Ebben ci mette anche la faccia: «Troppi ci invitano a cambiare lavoro, come se fosse facile in questo momento. Altri ci dicono di stare zitti e di ringraziare di averlo un lavoro, dandoci degli ingrati. Ma si può davvero ringraziare per avere un lavoro sempre meno dignitoso, mal retribuito e per il quale ogni giorni si è vessati e si vive con l'angoscia di poterlo perdere da un giorno all’altro? Si può ringraziare per il fatto di dover lavorare anche il primo maggio, quando il tuo compagno è a casa mentre tu lavori ?».

Toni Serafini, segretario generale della Uil, non fa sconti su questo modo di intendere il lavoro: «Le liberalizzazioni, così come le intendono quasi tutti oggi, sono state un’inutile forzatura di Monti. Bersani, che imponeva un tetto di 10 domeniche l’anno, aveva trovato la giusta mediazione. Lavorare il primo maggio, poi, è un insulto alla civiltà e non fa bene nemmeno all’anima e all’immagine dei commercianti. Abbigliamento e alimentari non sono servizi essenziali: è tempo che Renzi metta mano alla materia». La prossima verifica sarà il primo maggio. Molte catene hanno assicurato che resteranno chiuse, altre hanno esposto il cartello in cui segnalano, invece, l'apertura. E se dovesse essere brutto tempo nei negozi bolzanini ci sarà ressa. E non solo di turisti.

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