Scontri al Brennero, condanne per 37 anni a 63 anarchici 

Il quadro accusatorio della Procura è stato ridimensionato. Tutti sono stati riconosciuti colpevoli. Rimasti in piedi reati per lo più di natura contravvenzionale. Quattro imputati altoatesini hanno seguito la lettura della sentenza in silenzio


MARIO BERTOLDI


Bolzano. A quattro anni dal pomeriggio di guerriglia organizzato nell’estate 2016 da gruppi anarchici giunti da mezza Italia per dire no ad una progettata barriera austriaca anti immigrati, la giustizia ha presentato il primo conto. Quello conclusosi ieri (per lo meno per la sentenza di primo grado) a carico di 63 imputati non è stato un procedimento semplici.

Alla fine per tutti gli inquisiti il giudice Michele Paparella ha deciso per una condanna anche se in molti casi le pene inflitte sono state sensibilmente inferiori rispetto alle richieste avanzate dalla Procura della Repubblica. Ieri mattina in aula, quasi a voler sottolineare l’importanza della posizione della pubblica accusa, c’era il procuratore capo Giancarlo Bramante.

Il lavoro svolto dall’accusa pubblica non è stato agevole a seguito della necessità in primo luogo di arrivare ad una identificazione certa delle persone accusate di aver preso parte al pomeriggio di violenza e paura al Brennero.

Per le singole persone identificate si è resa poi necessaria una ricostruzione certa dei comportamenti illegittimi tenuti nel corso della manifestazione. I 63 manifestanti di area anarchica finiti nei guai in questo primo filone d’indagine hanno dovuto rispondere per lo più di reati contravvenzionali, derivanti per lo più dalla partecipitazione alla manifestazione stessa (“radunata sediziosa”), con travisamento personale (cioè copertura del viso per evitare di essere identificati) e - in alcuni casi - interruzione di pubblico servizio per aver bloccato la linea ferroviaria del Brennero. Come detto le richieste di condanna avanzate dalla Procura si erano spinte in alcuni casi sino ad un anno e sei mesi di detenzione (sebbene in moltissimi casi on i benefici della sospensione condizionale della pena). Il giudice Michele Paparella è stato in realtà di mano più leggera. E’ vero che nessuno degli inquisiti è uscito assolto da questo primo giudizio (solamente una delle imputate è uscita dal precesso in quanto risultata non imputabile) ma è anche vero che le pene inflitte sono risultate notevolmente ridimensionate e sono state comprese da un minimo di 2 mesi ad un massimo di 11 mesi di arresto con sanzioni pecuniarie sino ad un massimo di mille euro (di ammenda). Complessivamente il giudice ha inflitto condanne per 37 anni di arresto. Gli estremisti regionali inquisiti finiti davanti al giudice erano in tutto 25.

Quasi tutti hanno rimediato una condanna a dieci mesi di arresto e 900 euro di ammenda. Difficile giungere ad una prima valutazione delle scelte fatte dal giudice in questa prima tranche processuale.

Il giudice Michele Paparella si è preso comunque 60 giorni per depositare le motivazioni della sentenza. «Personalmente sono soddisfatto per il ridimensionamento di gran parte delle contestazioni della Procura della Repubblica - ha commentato l’avvocato difensore bolzanino Domenico Laratta - per il dettaglio dobbiamo ovviamente attendere le motivazioni della sentenza. Posso comunque già annunciare che siamo pronti ad un eventuale ricorso in appello se qualcosa non dovesse convincerci sotto il profilo giuridico».

La battaglia dunque non è detto che sia finita, nemmeno per questi primi 63 imputati dalle posizioni processuali più leggere. Ieri mattina sono stati in quattro a presentarsi in aula per poter seguire personalmente la lettura della sentenza attesa entro mezzogiorno. Tutto si è svolto nel pieno rispetto delle disposizioni di legge.

I quattro estremisti comparsi in aula erano locali ma non si sono resi protagonisti di alcuna ulteriore protesta, magari per contestare l’autorità rappresentata da un magistrato e dunque dal giudice preposto a valutare i fatti. In realtà non c’è stato alcun momento di tensione. I quattro hanno solo voluto dimostrare la loro volontà di non riconoscere l’Autorità giudiziaria di questo Stato evitando di alzarsi in piedi in occasione della lettura della sentenza.

Una protesta estremamente silenziosa ed ordinata che è passata assolutamente in secondo piano rispetto a chi aveva temuto qualche manifestazione pubblica più palese e determinata.

Timori che avevano indotto la Procura della Repubblica a predisporre anche in questa occasione la presenza massiccia di forze dell’ordine.













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