Siccità, in otto anni «perso» un miliardo di metri cubi d’acqua

È come se fossero spariti otto laghi come quello di Resia «Le perdite nella rete sono superiori a quelle denunciate»



BOLZANO. Incontriamo Maurizio Righetti, professore di Costruzioni Idrauliche alla Libera Università di Bolzano, al tavolo del bar in piazza Università a Bolzano. Righetti, titolare della cattedra sponsorizzata Alperia, si occupa di produzione di energia da idroelettrico, conosce in profondità le condizioni delle dighe in Alto Adige e Trentino ed è inoltre impegnato in alcuni progetti di ricerca applicata su acquedottistica e ottimizzazione del servizio idrico.

Vicino a lui siede uno dei maggiori esperti in materia di irrigazione della provincia di Bolzano: Romano Comunello. A lungo dipendente della Provincia, ora è sempre attivo come progettista e consulente. Negli ultimi tempi, prima dell’esplosione dell’emergenza siccità, ha tenuto diversi incontri pubblici per spiegare alla popolazione qual è la situazione idrica dell’Alto Adige.

Affluenza in genere scarsa, anche se i partecipanti mostrano grande interesse al problema. Ma la strada da fare per educare la società a un utilizzo corretto dell’acqua è lunga”, ammette.

A loro abbiamo chiesto di spiegarci la situazione della disponibilità idrica in provincia e di come, in futuro, potremo far fronte a un clima che sarà sempre più avaro.

Le altre regioni italiane proclamano lo stato di calamità per la carenza idrica. In Alto Adige qual è la situazione?

«Siamo messi meglio. Abbiamo falde ancora a tre, quattro metri ma i ghiacciai che alimentano invasi, laghi e fiumi e il cui apporto è importante nella stagione calda, sono sempre più piccoli e sottili. Non si riformano perché, come lo scorso inverno, non nevica quasi più».

Ma quanto è grave il problema?

«Beh, basta pensare che uno studio della Provincia ha evidenziato come, negli ultimi otto anni, per la fusione dei ghiacciai, abbiamo perso circa 1 miliardo di m3 di acqua».

Cioè?

«È come se fossero scomparsi otto laghi di un volume pari a quello di Passo Resia. Le sembra poco? E anche i fiumi della nostra provincia sono sempre più poveri di acqua. A Bronzolo, ad aprile, la portata dell’Adige era scesa 45 m3».

Sembra evidente la necessità di risparmiare acqua in tutti i modi possibili.

«Bisognerebbe ripartire dal tema delle tipologie di consumo, una cosa che riguarda tutti. Per produrre una tazzina di caffè come quella che stiamo bevendo al bar, servono 130 litri di acqua. In Occidente c’è chi dice che usiamo 220 litri d’acqua per abitante al giorno ma la cifra vera è più vicina ai 400. È sostenibile?»

Ma le perdite nella rete idrica non contano?

«Le perdite nella rete ci sono, sono forse superiori a quelle denunciate. È vero che l’acqua persa dalle tubazioni ritorna nel terreno e poi in falda, ma comunque la sua potabilizzazione ha comunque un costo economico ed ambientale perché i prelievi idrici, i trattamenti ed i pompaggi legati al processo di potabilizzazione hanno comunque sottratto acqua all’ambiente naturale, hanno consumato energia e si è emessa CO2 in atmosfera. Quindi certo che le perdite contano ed è importante evitarle. Su questo versante, potremmo risparmiare un 15-20% sui 25% dei consumi per uso civile. È relativamente poca cosa. Aiuta ma non risolve il problema. Il problema comunque non è solo l’acqua potabile per uso civile domestico, ma anche gli usi irrigui e industriali, che sono la parte preponderante dei consumi».

Comunque aumentare l’efficienza è importante.

«Certo, ma non si può concentrare tutto lì. In Alto Adige vantiamo per esempio la gestione esemplare dell’acquedotto di Laives. Vengono da tutta Europa a vederla. È gestito a regola d’arte per quanto riguarda riduzione delle perdite e manutenzioni».

Recentemente il governatore Zaia ci ha accusato di non voler dare acqua al suo Veneto.

«Sono polemiche politiche. Quello che bisogna avere il coraggio di dire è che è inutile irrigare i campi di mais o di soia con i cannoni d’acqua: è uno spreco d’acqua ed energia assurdo. Si può fare a goccia, altrove lo fanno; in Israele fanno crescere frutta e verdura nel deserto».

E noi?

«Ad esempio in Oltradige, zona con risorse idriche assai limitate rispetto ad altre zone, irrighiamo a goccia con sistemi di controllo totalmente automatizzati, ma questa tecnica va allargata ad altre zone. Poi bisogna avere dati più precisi sui consumi. I dati di cui disponiamo non sono reali ma basati sulle concessioni nominali alla fonte. Nessuno fa rilevazioni precise su agricoltura e industria. La conoscenza dei dati è il primo passo necessario per poter effettuare una programmazione e prevedere un utilizzo basato sui picchi e sui minimi, in agricoltura e nell’industria».

È la soluzione?

«È una possibilità. Bisognerebbe incentivare la creazione di bacini per la raccolta d’acqua piovana e spingere sull’automazione per l’utilizzo on demand. Anche l’Unione Europea incentiva questa pratica. Ma per farlo bisogna prevedere forti investimenti nelle infrastrutture perché bisogna ripensare anche la progettazione delle reti irrigue, dato che cambia la portata nei tubi. Ma le risorse, fortunatamente, ci sono. Poi bisognerebbe educare alla solidarietà resiliente che è un modo intelligente per affrontare il problema della carenza idrica».

In parole povere?

«Fare capire che le iniziative consortili servono. Un paese o un bacino che un anno ha abbondanza di acqua può cederne parte a paesi vicini in difficoltà perché l’anno dopo potrebbe trovarsi nella stessa situazione. Ad Aldino, per esempio, è stato realizzato un bacino che gestito oculatamente adesso permette di attingere in base alle effettive esigenze delle colture. Poi occorre educare alla revisione dei consumi per fare in modo che, a novembre, non ci siamo tutti quanti dimenticati del problema». (a.z.)













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