«Tre donne al vertice dei tre licei? Non basta»
La dirigente del Classico. «Quando ero un a studentessa sembrava impossibile: i presidi erano solo uomini. Oggi ci sono più laureate di laureati, ma le opportunità non sono ancoro uguali»
Bolzano. L’8 marzo ai tempi del coronavirus apre ancora ferite che si pensavano un poco più rimarginate. «Ora le nostre scuole sono chiuse ed è drammaticamente naturale pensare: chissà che problemi per le mamme... Ecco, non dovrebbe essere sempre e ancora così. E i papà?» I papà lavorano, che diamine, non è che si può fermare il Paese... «Ecco, così si ragiona, in fondo in fondo. All’impatto che ha tutto questo sulle famiglie e di conseguenza ancora inevitabile sulle donne soprattutto, pochi pensano».
E se ci pensano è per dire che, in emergenza, va bene così. Non lei, non Cristina Crepaldi. Preside del liceo classico. Fresca nomina. Ieri era nel suo ufficio al Carducci. «Pensi, le tre dirigenti dei tre licei bolzanini sono donne. Quando andavo a scuola io, i “capi”erano tutti uomini». Adesso c’è infatti lei, poi Laura Cocciardi al Pedagogico e Francesca Magonzi allo Scientifico.
Che vuol dire? Che siamo messi bene?
Che le donne sembrano più organizzate nello studio, magari. Che sono brave, molto brave. C’è da pensarlo visto che la maggioranza dei laureati ora sono donne.
Ma con questo virus le donne devono poi sostituirsi alle maestre per occuparsi dei figli a casa...
È questa la contraddizione. La distanza tra le “prestazioni” femminili nella cultura, nel lavoro e l’idea profonda che si ha ancora del loro ruolo.
Perché questa distanza?
È una questione di società e di strumenti. In sostanza: non basta essere brave. Servono sostegni. Se io sono stralaureata, ma poi faccio dei figli che succede se non esistono, nel concreto, reali sostegni al lavoro? Ma direi soprattutto alla carriera femminile?
Già, che accade?
Che se c’è il virus stanno a casa le donne. Che se non ci sono asili nido realmente diffusi e accessibili, se nelle aziende non si pongono freni ai condizionamenti cui è sottoposta una donna che voglia avanzare, è naturale che al primo ostacolo, un matrimonio, dei figli, si guarda subito alla alternativa fornita dagli uomini, spesso privi di questi ostacoli.
Lei come vive queste situazioni?
Intanto io non scrivo più “il” dirigente, come magari per inerzia fanno molte donne, ma insisto con “la” dirigente scolastica. Messo ben chiaro nei documenti. Ma la strada è in salita, nonostante tutto. Ci sono ancora resistenza nonostante, che dire..., ci siano più laureate in medicina donne che non uomini. Chi dice oggi “la chirurga”? Anzi, tanti vogliono il chirurgo che li operi, hanno più fiducia, dicono.
Che dice delle quote rosa?
Che non dovrebbero esistere. Mi spiego: un mondo migliore sarebbe quello che fa avanzare, nelle nomine, i più bravi e i più meritevoli, indipendentemente dal genere. Ma siccome questo non accade ancora del tutto in realtà, io le ritengo in parte necessarie.
Perché “in parte”?
Sono un passaggio. Un modo per forzare i tempi. Che altrimenti resterebbero immutabili. Se poi anche la politica dice che servono, ecco, allora io mi fido. Vuol dire che sono uno strumento per creare pari opportunità reali e formali.
Laddove è difficile crearle in natura?
Ecco, è così.
Che dicono i ragazzi e le ragazze che vede tutti i giorni?
Noto una maggiore consapevolezza sui temi di genere. Rispetto al passato, intendo. Tutti si relazionano in modo paritario. E questo è un gran bene. Negli istituti di rappresentanza scolastica maschi e femmine sono su un piano di assoluta parità numerica. Certo, esiste la piaga della violenza di genere. Molto presente tra i giovani.
Anche nel liceo?
Qui non abbiamo episodi ma nel mondo dei ragazzi è un fenomeno ben vivo. Ci vuole un cambiamento profondo nella società per estirparlo. Una rivoluzione negli adulti prima che nei ragazzi. Schemi mentali, modi di dire. E poi anche il fatto che il nostro Paese è forse l’unico tra i più sviluppati a non aver ancora avuto un presidente donna, un premier donna. Ma anche qui, in Alto Adige, un presidente che non sia un uomo mai? Questo non va, significa che c’è ancora molta strada da fare.
E la scuola, invece che fa?
Qui molto. Gli istituti hanno un compito decisivo. Già le rappresentanze di istituto sono consapevoli delle questioni di genere ma poi ci sono innumerevoli iniziative sul fronte della prevenzione delle violenze di genere, su quello della parità.
Qualcosa sta cambiando?
Spero di sì. Come dicevo, quando andavo a scuola io, mi sembrava naturale che il mio preside fosse un uomo. Che tutti gli altri lo fossero. Oggi questo non avviene più. È altrettanto naturale farsi dirigere, negli istituti, da una donna. Come lo è muoversi paritariamente in classe o nei corridoi. Ma la battaglia non è finita. È agli inizi. P.CA.
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