Troppi incidenti in pista «Il 99% degli sciatori scende troppo veloce» 

Helmuth Schmalzl. «Piste perfette, materiali al top. Si corre troppo perché manca il rispetto»


Davide Pasquali


Bolzano. Incidenti a raffica, sulle piste da sci. Diverse le cause tirate in ballo dall’ex sciatore della Valanga azzurra, ex allenatore della Nazionale ed ex responsabile Fis della sicurezza in pista nelle gare veloci di Coppa del Mondo, Helmuth Schmalzl. Piste tiratissime e materiali al top, che invitano a osare anche chi non è uno sciatore provetto; almeno il 99% degli sciatori scendono troppo veloci; i metri quadri di pista a disposizione per il singolo stanno arrivando al limite; la ricerca spasmodica della prestazione anche da parte dei dilettanti; la maleducazione, l’egoismo, l’arroganza o, se vogliamo intiepidire, il poco rispetto per gli altri sciatori presenti in pista e pure per la natura.

Occorre ovviamente fare una distinzione, fra agonisti e turisti, ma anche le piste per i turisti oggi sono perfette. «Invitano alla velocità. Nel mondo dello sci turistico, direi che il 99% degli sciatori scende troppo veloce. Materiali e condizioni portano a sentire questa euforia: sembra tutto bello, tutto facile, perché le piste sono larghe, preparate, tirate come un biliardo. E i materiali permettono dopo poco tempo di scendere dappertutto».

Quali i problemi principali?

«Due. Uno è di natura comportamentale, il secondo è un problema di affollamento delle piste. Se le piste sono affollate, significa che il turismo va bene e siamo tutti contenti, però allo stesso tempo dobbiamo renderci conto che la superficie sciabile, in proporzione al numero di sciatori, sta arrivando al limite. Ci sono poi delle leggere differenze di capacità, quindi raggi di curvatura diversi, velocità differenti, ed ecco che un numero così grande di sciatori con caratteristiche diverse tra loro crea un problema evidente».

E il comportamento in pista?

«È il problema principale. Oggi, in media, gran parte degli sciatori - turisti, stranieri, locali - fanno fatica a trovare la misura delle cose. La gente veramente vuole esprimere solo se stessa, non c’è la capacità di valutazione e di rispetto di quello che c’è attorno. Se la pista è veramente così affollata, devo mutare atteggiamento, devo adattare la mia sciata a quelle condizioni. Questa è una cosa cui oramai tanti non sono più disposti».

Io sono in vacanza, quindi posso fare tutto ciò che mi pare?

«Esatto, sono in grado di fare questo e quell’altro, quindi voglio farlo. E se le condizioni non me lo permettono, lo faccio lo stesso. È un problema enorme. Una grande quantità di incidenti, magari meno gravi, meno importanti, succedono per questo: l’egoismo, l’arroganza di fare quello che uno pensa di poter e voler fare, perché si è riservato quelle giornate, quelle ore di vacanza proprio per fare questo. E non si discosta da questo. Si tratta ovviamente di una problematica che esula dall’ambito dello sci alpino e coinvolge l’intera società contemporanea».

Società in cui si è troppo immersi nelle nuove tecnologie.

«Proprio così. Ieri sera ero a cena con un gruppo di australiani, medici qui in vacanza; abbiamo parlato di sicurezza in pista. Sono arrivati con il loro telefonino, la loro applicazione, e mi hanno detto: oggi abbiamo fatto questo e questo, x chilometri, velocità massima e media sono state queste, tot metri di dislivello, ho sciato per y minuti. La gente sta dimenticando che - forse - sciare è anche andare in montagna, fermarsi ogni tanto, guardare il paesaggio, che forse è la cosa più bella di quella giornata, della tal località».

Il divertimento al di là della mera prestazione non esiste più?

«Se vado in Australia per vedere la barriera corallina non vado lì per fare i 100 metri a nuoto in un minuto e 5”. Il fatto è che bisognerebbe imparare ad apprezzare la natura, a interpretare quella giornata come qualcosa di più che non una serie di numeri da far vedere la sera a cena agli amici. Anche lo sciatore più capace, quello che va in Canada a farsi le sciate in elicottero in neve fresca, quando torna deve dire: guardate che io in cinque giorni ho fatto x metri di dislivello, y ore di discese. È il record che si vuole comunicare».

Non si dice più: che bella sciata, che belle montagne?

«La comunicazione è tutta sui numeri. E non stiamo parlando di casi eccezionali. Oggi ogni due sciatori uno ha la GoPro sul casco. Ma non per ricordare come ha passato la giornata, ma perché deve far vedere agli altri quanto è coraggioso, quanto ha fatto lo slalom fra gli altri sciatori, quanti ne ha superati. Se uso la GoPro, magari dovrei inquadrare il Pelmo, il Sassolungo, il Latemar: guardiamoceli bene e memorizziamoli!».

Un problema simile riguarda anche il fuoripista.

«Esatto. Bisogna andare a cercare per forza la cosa particolare e pericolosa. Se siamo a Sankt Anton dopo che ha fatto una nevicata eccezionale, la gente, non solo i giovani, tutti con l’airbag nello zaino, va a cercare la scivolata della neve, va a cercare indirettamente la valanga, per poter dire: io ho provato un’emozione veramente forte. In zone così, alle 10 di mattina non c’è più un pezzo di canale o di pendio senza le tracce di uno sciatore dentro. E allora, credo che un minimo di auto-critica dovremmo comunque avere il coraggio di farla».

Vale per tutti, ovviamente...

«Certo, me compreso. Ci vorrebbe più rispetto per la natura, per ciò che si sta facendo, per ciò che stanno facendo le altre persone in pista. Rispettiamo anche il fatto che pure il prossimo è in vacanza e vuole fare le sue cose, in base alle sue capacità, alle sue qualità. Ma oggi c’è questo dover strafare in emozioni, per forza...»

Senza tener conto che, comunque, quelli bravi veramente non siamo noi, sono ben altri.

«Non dobbiamo certo credere che siamo noi quelli che fanno le cose più bizzarre, più stravaganti. Ci sono i giovani superbravi, supercapaci, superallenati, ma si contano sulle dita di una mano. Purtroppo la gente guarda queste riprese fantastiche eccetera, e dice: questo lo voglio fare anche io. Ma magari, per fare quei video, ci hanno rimesso la salute due o tre ragazzi...»

A invogliare è pure la superqualità turistica, delle piste ecc.

«Piste e materiali invogliano a dimostrare di essere più bravi di quello che si è. Un fatto è certo, lo ripeto: il 99% degli sciatori scia più veloce di quello che permetterebbero le loro capacità».

Ci fornisca un monito concreto.

«Lo sciatore medio, normalissimo, se scende una pista che non è troppo ripida, con bel terreno, quando scia del tutto normale, viaggia a 50-60 all’ora. Posso aggiungere un aspetto, di cui ho esperienza per via del mio lavoro: esiste tutta una serie di test sui materiali, di sicurezza eccetera, che si fanno con masse da 60 a 80 chili, con velocità fra i 50 e i 70 chilometri orari. Se uno vedesse che effetto fa un impatto del genere, tipo di 70 chili a 60 all’ora... credo che si metterebbe a sciare un bel po’ più piano. È una cosa che fa impressione, vedere ciò che può accadere».

Dovremmo avere l’umiltà di dire che - in senso lato - siamo noi tutti a provocare gli incidenti?

«È chiaro: se noi prepariamo una pista che è una favola, con impianti di risalita dove chi deve attendere 30 secondi per risalire ha già l’impressione di dover fare una coda insopportabile... È ovvio che questo poi comporta che sulla pista ci sia la quantità di gente che c’è. E il materiale permette di fare tutto ciò che si vuole».

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