LA STORIA

Una candela per il pilota morto giovane, la stele nascosta tra gli alberi di Sant'Osvaldo

Norbert Holzner si schiantò col suo caccia sul Monte Tondo il 14 dicembre 1961 vicino al Peter Ploner


di Luca Fregona


BOLZANO. C’è una piccola lapide nascosta tra gli alberi intorno al Peter Ploner, vicino al sentiero che da Sant’Osvaldo porta al Renon. «Al sergente pilota Norberto Holzner - si legge sotto la fotografia in bianco e nero - qui tragicamente caduto il 14 dicembre 1961. A perenne ricordo, gli amici paracadutisti». Ogni Natale qualcuno sale, toglie gli arbusti, ripulisce il marmo e poggia un fiore e una candela.

Lino Trettel oggi ha 90 anni, gira e rigira tra le mani un pezzo di acciaio. Lo conserva come una reliquia da 54 anni. Quel pezzo di ferro racconta molte cose. «È un frammento della fusoliera del caccia di Norberto... ogni volta che lo guardo, penso a quel ragazzo sfortunato». La mente corre indietro, al 14 dicembre del 1961. Lino Trettel socchiude gli occhi e racconta la storia: «Quella mattina tutti lo abbiamo visto passare nel cielo di Bolzano. Era prima di mezzogiorno. “Guarda - mi ha detto mia moglie indicandolo col dito-, è Norberto”. Volava basso per salutare la sua città, lo faceva sempre. Scendeva in picchiata e risaliva. Un istante dopo abbiamo sentito un boato tremendo. Dai boschi del Monte Tondo si è levata una vampata gigantesca. Poi il fumo nero. Abbiamo capito subito...». Norbert Holzner, sergente pilota, 25 anni, bolzanino, si schianta con il suo caccia «G-91» poche centinaia di metri sopra Sant’Antonio. L’aereo si disintegra, lui muore. Un prezzo altissimo, per aver voluto fare una specie di “inchino” alla sua città. Holzner faceva parte del 36esimo stormo “Caccia tattici” di stanza a Treviso. Quando volava sopra Bolzano, scendeva di quota e passava basso sopra Sant’Osvaldo dove abitava la famiglia. Holzner era uno dei migliori piloti dell’epoca dell’Aeronautica militare italiana, giovane ma con tanta esperienza. Con Lino Trettel, storico fondatore dell’Associazione paracadutista di Bolzano, erano amici per la pelle. «Sin da ragazzino era affascinato dall’aria. Voleva volare. Avrà avuto 14-15 anni quando ha cominciato a gironzolare per l’aeroporto di San Giacomo. Metteva il naso negli hangar, curiosissimo. Non smetteva di farti domande. Come funziona questo, come funziona quello...». Norbert fa tutta la trafila: a 16 anni prende il brevetto da paracadutista, poi quello per il volo a vela, poi quello per il volo a motore. Con l’aliante è un asso. Vince diverse gare e premi a livello nazionale. È talmente bravo che, ancora giovanissimo, diventa istruttore dell’Aereo Club Bolzano. Il suo destino è scritto. Nel 1958, finite le scuole superiori, viene ammesso all’Accademia dell’Aeronautica militare. Primo del suo corso, diventa pilota di caccia e aggregato al 36esimo stormo di Treviso.

«Un pilota bravissimo, un vero talento», sottolinea Trettel. Non ha paura di niente. Ha sangue freddo da vendere. Un anno prima di morire, il suo caccia va in avaria a 8 mila metri di quota. Norbert non si fa prendere dal panico. Schiaccia il pulsante dell’espulsione automatica. Scende come un proiettile fino a 4 mila metri, la quota dove finalmente può aprire il paracadute. E si salva. «Era molto preparato - racconta Trettel -. Dopo ne parlava come di una cosa da niente».

Il 14 dicembre nel 1961, però qualcosa non funziona. «Si sentiva tutt’uno col suo aereo. È stato tradito dalla sua esuberanza, dall’eccessiva sicurezza. Ha sottovalutato il rischio e calcolato male la potenza del suo apparecchio. Puntava il muso del caccia verso il basso, sicuro di riuscire a riprendere quota. Quel giorno ha sbagliato i tempi. Quando è stato il momentodi cabrare per risalire in verticale, il motore non è partito subito, ha impiegato qualche secondo. E lui è andato a sbattere sulla montagna». Un’esplosione devastante. Il bosco prende fuoco. Pezzi dell’aereo verranno ritrovati anche a 350 metri di distanza. «Noi amici - racconta Trettel - siamo saliti subito per prestare soccorso. Sembrava di essere all’inferno, c’erano dappertutto frammenti del velivolo in fiamme...». A cento metri dall’impatto trovano le due ali, pezzi della fusoliera, l’involucro del motore.

«E quello che restava del corpo di Norbert. Non potevamo fare più niente. Poco dopo sono arrivati gli uomini del soccorso militare. Noi abbiamo raccolto il pezzo della fusoliera che ancora oggi conserviamo nella sede della nostra associazione e ce ne siamo andati col cuore spezzato». Il mondo del volo, a Bolzano, era piccolo e molto unito. «Una grande famiglia dove vigevano poche regole: orgoglio, lealtà, amicizia. Ci aiutavamo tutti l’uno con l’altro». Norbert era di lingua tedesca, i paracadutisti erano in massima parte ex militari italiani iscritti all’Msi. «Ma la politica restava fuori. Eravamo tutti fratelli». Poche settimane dopo la tragedia, gli amici dell’associazione paracadutisti e dell’Aereo Club tornano sul Monte Tondo per sistemare la stele «a perenne memoria», in tutte e due le lingue. Oggi è immersa tra gli arbusti, e di quella generazione sono rimasti in pochi.

Ma ogni Natale qualcuno sale, toglie le foglie e rivolge un pensiero a quel ragazzo che amava il cielo.













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