Una nuova tecnica svela i segreti di Ötzi

La ricerca dell’Eurac consolida l’ipotesi del trauma al cervello e apre nuovi scenari per lo studio delle mummie



Dopo la decodificazione del genoma di Ötzi, un team di ricercatori dell’Accademia Europea di Bolzano (Eurac, dell’Università del Saarland, dell’Università Christian Albrecht di Kiel e di altre istituzioni di ricerca europee segna un nuovo traguardo nella ricerca sulle mummie. Da un campione grande come la capocchia di uno spillo estratto dal cervello di Ötzi, i ricercatori hanno potuto analizzare le proteine e ottenere così nuovi elementi sull’ipotizzato trauma al cervello.

Nel 2007, analizzando la frattura cranica dell’Iceman, erano state individuate per la prima volta due zone più scure nella parte posteriore del suo cervello. Dopo aver eseguito la TAC i ricercatori avevano ipotizzato che un aggressore gli avesse assestato un colpo in fronte e che questo avesse fatto urtare il cervello contro l’occipite, causando l’ematoma evidenziato dalle zone scure. Questa ipotesi non era però ancora stata approfondita.

Nel 2010, attraverso due piccoli fori già esistenti nella scatola cranica della mummia, erano stati estratti tramite endoscopia - quindi in modo non invasivo - due campioni di cervello, di pochi millimetri di spessore. Il microbiologo Frank Maixner (Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac) e i suoi colleghi Andreas Keller (Istituto di genetica umana dell’Università del Saarland) e Andreas Tholey (Istituto di medicina sperimentale dell’Università Christian Albrecht di Kiel) hanno condotto parallelamente diverse analisi sui due minuscoli campioni. Il gruppo di ricerca di Andreas Tholey ha contribuito utilizzando le più recenti tecnologie nel campo della ricerca sui proteomi, cioè l’insieme delle proteine. Le varie analisi sono state coordinate da Frank Maixner e Andreas Keller.

La ricerca sulle proteine, in particolare, ha fornito molte informazioni inaspettate. I ricercatori hanno documentato una grande quantità di proteine del cervello e hanno rilevato anche globuli proteici. Inoltre, le analisi al microscopio hanno evidenziato la presenza di cellule neuronali in buono stato e di aggregati di cellule ematiche.

Questo ha dimostrato al team di ricerca che il campione prelevato è costituito effettivamente da tessuti cerebrali -strutturalmente riconducibili ad Ötzi - e non da sedimentazioni accumulatesi nel corso dei secoli; questo significa che il cervello dell’Iceman è conservato in condizioni straordinariamente buone. Inoltre, gli aggregati di sangue riscontrati nel campione portano ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi che le macchie scure potrebbero essere degli ematomi che Ötzi si è procurato prima della sua morte. Se siano comparsi a causa di un colpo in fronte o di una caduta in seguito alla ferita da freccia, è ancora da chiarire.

Quella che ai non addetti ai lavori può sembrare un’informazione di poco conto, rappresenta per i ricercatori un risultato importante: “Con l’aiuto di nuovi metodi per l’analisi delle proteine, abbiamo condotto per la prima volta uno studio sui tessuti molli di un corpo mummificato e abbiamo potuto ricavare un’incredibile mole di informazioni che in futuro potranno dare una risposta a nuovi quesiti”, sottolinea il team di ricerca.

Infatti, a differenza dei campioni di Dna - che di frequente sono troppo deteriorati per poter essere analizzati - i tessuti contengono spesso proteine che possono essere analizzate in maniera chiara offrendo informazioni preziose, come spiega Andreas Tholey: “Le proteine sono i veri attori all’interno dei tessuti e delle cellule: i principali processi all’interno delle cellule si svolgono a grazie a loro.Sapere quali proteine sono presenti permette di comprendere il potenziale funzionale di un tessuto. A differenza del Dna, che è uguale in tutte le cellule del corpo, le proteine ci mostrano cosa succede veramente in specifiche parti del corpo”.

Per questo, in aggiunta all’esame del Dna, l’analisi delle proteine si rivela una tecnica particolarmente utile. “La ricerca sui tessuti mummificati può essere molto frustrante: i campioni sono spesso danneggiati o contaminati e anche dopo vari tentativi con diverse tecniche non si arriva a un risultato. Se ci si immagina che abbiamo potuto documentare i processi realmente avvenuti nei tessuti di un uomo vissuto 5000 anni fa, si può capire perché noi ricercatori non abbiamo gettato la spugna dopo i tanti tentativi falliti. Ne è valsa la pena”, dichiara Maixner.

I risultati dello studio congiunto sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista “Cellular and Molecular Life Sciences”. Oltre a un campione dello stomaco di Ötzi, verranno analizzati con il nuovo metodo della ricerca sulle proteine diversi campioni di tessuti di altre mummie provenienti da tutto il mondo. Si tratta di esemplari non così ben conservati come l’Iceman che potranno comunque fornire informazioni ritenute fino ad oggi impensabili.













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