L'intervista

Dai campi di Lazfons alla Juve Women: il sogno avverato di Elisa Pfattner 

Una bomber per le campionesse d’Italia. Classe 2004, ha iniziato a tre anni in porta nella squadra del paese, poi in attacco e al Brixen  Ora gioca, vive e studia a Torino: «Il mio obiettivo? Imparare»


Jimmy Milanese


CHIUSA. Classe 2004, nata a Lazfons di Chiusa e un passato recente nell’Ssv Brixen, Elisa Pfattner ha coronato il suo sogno di calciatrice e in questa stagione 2021/22 ha debuttato nella prima squadra della Juventus Women, la Juventus femminile che si è aggiudicata gli ultimi quattro campionati di Serie A.

Elisa Pfattner, si è avverato un sogno. Ma la passione per il calcio da dove nasce?

Nutrivo questa passione fin da piccola, visto che mio padre e mio fratello giocano a calcio e tifavano per la Juve. Io ho iniziato a 3/4 anni e a 7 è arrivata la mia prima squadra. Giocavo in porta nel Lazfons, nella squadra maschile. Poi, mi sono spostata all’attacco.

Era lei a voler giocare proprio assieme ai ragazzi?

Non dovevo per forza giocare con i maschi, ma capii subito che quella sarebbe stata la scelta giusta per crescere più in fretta. Assieme ai maschi imparavo di più, dato che fisicamente non ero ancora all’altezza della loro forza fisica. Il confronto quotidiano mi ha fatto crescere anche in potenza fisica.

E come si trovava?

Ho giocato nel Lazfons per tre anni. Ero l’unica ragazza della squadra ma devo dire che mi trovavo benissimo e non ho avuto mai grandi problemi. Crescendo sono passata a una squadra femminile.

In una squadra femminile e in un campionato femminile?

No, giocavo nell’Ssv Brixen femminile, ero il capitano e giocavamo in un campionato di sole squadre maschili con noi unica formazione di ragazze. Erano gli anni della Under 13 e fisicamente eravamo all’altezza dei ragazzi. Ci veniva concesso d’essere un anno più grandi di loro al massimo, ma poi sul campo vincevamo spesso.

A lei tecnica e talento, ma anche grinta, non mancano. Ecco, quando vincevate contro i maschi, loro come la prendevano?

Le faccio un esempio. Avevamo vinto una partita 5-0. Fuori dal campo, i genitori degli avversari mi urlavano contro non solo perché i loro figli avevano perso, ma in quanto a sconfiggerli era stata una squadra di ragazze. Per noi era diventato normale: i volti dei ragazzi increduli perché non avrebbero mai voluto perdere contro delle ragazze.

Poi, la svolta e da Bressanone arriva la convocazione in nazionale. Come è andata?

Prima, nel 2016, con mister Florian Weissteiner vincemmo la Gazzetta Cup Under 12 all’Olimpico di Roma. Poi, la svolta all’inizio del 2017. Con l’Ssv Brixen giocammo la Danone Nations Cup Under 12 al femminile. Battemmo Atalanta e Hellas Verona, arrivando alla semifinale persa con il Milan. Lì arrivò la convocazione nella nazionale Under 16, quando avevo solo 13 anni. Ero la più giovane e da lì scout di squadre di A iniziarono a seguirmi. Poi venne un allenamento ad Egna con le giocatrici più forti della nazionale e mister Yuri Pellegrini organizzò un provino alla Juve. Ci andai assieme a mia cugina Eva Schatzer.

Il lancio definitivo?

No, perché subito dopo è arrivato un infortunio grave. Nel novembre 2019 mi sono rotta il crociato posteriore e per 8 mesi sono stata ferma. Con la quarantena che poi ha bloccato tutte le attività sportive, ho potuto guarire con calma.

E il provino alla Juventus?

Per fortuna lo feci prima dell’infortunio. In piena quarantena, mentre ero a casa, per me e mia cugina è arrivata la chiamata della Juventus Under 17. Siamo andate a Torino, ho iniziato prima con la Under 17. Era bellissimo, andavamo a scuola e non avevamo problemi. Potevo concentrarmi solo sul calcio, anche se andare a scuola bene è fondamentale alla Juventus.

Arriviamo a quei tre gol nella Juventus Women Under 19, semifinale scudetto.

Quella per ora è stata la mia miglior partita. Maggio di quest’anno, Semifinale per l’assegnazione dello scudetto Under 19. Giocavamo contro la Florentia San Gimignano. Dopo un mese con la Under 17 mi avevano fatto salire in Under 19. Feci anche tre gol in semifinale. Bellissimo, perché era la prima partita con i tifosi a bordo campo.

Oggi è nella rosa della Juventus Women Serie A. Come è arrivata questa chiamata?

Ci avevano avvisate che da quest’anno ci saremmo allenate sia con la Under 19 sia con prima squadra. Dopo tre settimane di preparazione Joe Montemurro, nuovo allenatore della prima squadra, mi ha detto che sarei salita subito fissa in prima squadra. A 17 anni mi gioco le mie carte in Serie A.

A casa, cosa le hanno detto?

Mi hanno scritto i dirigenti del Brixen e del Lazfons, orgogliosi di me e io grata a loro per quello che mi hanno insegnato. Anche i miei familiari sono contenti, ma non mi fanno alcun tipo di pressione. So che se anche volessi smettere, loro sarebbero dalla mia parte. Sono grata a loro per aver sempre condiviso le mie scelte.

Mica vuole smettere?

Scherza? Sono solo all’inizio e so che sarà difficile. Non sono titolare e con me ci sono atlete dalle quali posso solo imparare. Per il primo anno è questo il mio obiettivo: imparare.

La sua giornata tipo?

Mi sveglio alle 7.50, alle 8.30 navetta che ci porta al campo, allenamento alle 9 in palestra, 45 minuti di attivazione, stretching e alle 10 al campo, per un allenamento fino alle 12. Quindi sessione crio, stretching, fisioterapia e alle 13 si mangia alla mensa della Juventus. In caso, doppio allenamento di forza il pomeriggio fino alle 16. Se c’è scuola, questa inizia alle 8.30 fino alle 13.30 e il pomeriggio allenamento fino alle 17/18. Poi compiti, cena e la sera studiamo.

Dall’anno della fondazione la Juventus Women ha sempre vinto lo scudetto, ma in Europa il calcio femminile italiano fatica.

Abbiamo giocato contro il Barcellona al Trofeo Gamper: 6-0 per loro. Ho visto una squadra catalana fortissima, ma noi abbiamo un nuovo allenatore che ha tanta esperienza nel calcio internazionale e ci potrà aiutare a crescere.

Ora vive a Torino, non le manca Lazfons?

Se ho due giorni liberi, torno a casa, così come durante le vacanze estive o di Natale. È difficile ma sono abituata a vivere lontano dalla mia famiglia già da quando studiavo a Malles. Aiuta tanto a sopire la nostalgia di casa sapere che i miei genitori sono felici per la mia carriera.













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