Violenza sulle donne

«I ragazzi da soli ci sono vicini, ma il gruppo può cambiare tutto»

La studentessa Gaia Guzzi: «Non ha senso fare leggi sull’onda della cronaca. Serve una vera educazione alle emozioni»


Sara Martinello


BOLZANO. Gaia Guzzi è stata tra le fautrici del progetto della panchina rossa installata all'entrata della sua scuola, il liceo Carducci. Ha le idee molto chiare sui temi del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne.

Martedì c'era anche la sua classe - la 5ª A - insieme a tutte le altre, intorno alla panchina rossa, ad applaudire per un minuto. Il «minuto di rumore» del Carducci. «Un momento molto intenso, per esprimere forte la solidarietà e la voglia di affermare la parità», spiega la dirigente Cristina Crepaldi. Ha parlato uno dei rappresentanti, Ascanio Schiavon: «La violenza di genere è un problema che non deve passare sotto silenzio. È un problema attuale, e sta a noi far sì che non sia un problema futuro».

Al Carducci è attivo da anni un progetto di educazione alla salute. Così la coordinatrice, la professoressa Ilka Despagne: «Si fa nelle seconde classi, con due ore di educazione all'affettività con una psicologa e altre due su sessualità e prevenzione con un'ostetrica. Nelle terze ci sono quattro ore sulla prevenzione della violenza, con Gea».

Occasioni di confronto positive, secondo Gaia Guzzi: «Danno strumenti per proseguire il dibattito in famiglia», sottolinea la studentessa del classico, «La scuola da sola non può farsi carico del compito della famiglia, luogo primario dell'educazione».

Come vengono recepite le proposte delle istituzioni?

Tra di noi, a scuola, abbiamo parlato del piano Valditara. L'educazione affettiva è importante, ma le proposte che abbiamo letto la delegano alla scuola, quasi sollevando le famiglie. Inoltre, parliamo di percorsi di sole 12 ore, in orario extracurricolare. In alcune zone d'Italia sarà difficile metterli in piedi, considerando che in certe scuole oggi manca pure lo psicologo. Non ha senso fare le leggi sull'onda della cronaca, di pancia, e poi lavarsi le mani degli aspetti culturali. La questione va trattata in modo strutturato e consapevole, muovendo verso una rivoluzione culturale. Anche e soprattutto sul maschile.

Qualcuno ancora obietta: «Non siamo tutti così».

Non tutti, ma sempre uno di troppo. Bisogna educare la nostra generazione all'emozione, fare capire che il fallimento è parte della vita. Parlare nelle scuole non fermerà l'ondata atroce di morte, ma ogni uomo convinto è potenzialmente una donna uccisa in meno.

Del femminicidio di Giulia Cecchettin colpisce anche la giovane età. Eppure oggi i ragazzi hanno molti più strumenti per abbracciare la cultura del rispetto.

Sicuramente vedo un'apertura maggiore. La nostra scuola è molto completa da questo punto di vista. Molto dipende dall'occasione: un ragazzo che da solo si mette dalla parte delle donne, in gruppo può avere atteggiamenti diversi. Può arrivare a ostentare indifferenza. Per questo serve una rivoluzione culturale, per abbandonare stereotipi che toccano anche l'emotività maschile e presunte fragilità. Mi riferisco a cliché del tipo "un uomo non piange".

E davanti a una molestia o a una frase sessista, che cosa fanno?

Fortunatamente mi è capitato di vedere alcuni miei amici "ribellarsi" e far notare il problema. Ma le dinamiche di gruppo hanno un loro ruolo, così alcuni pensano che farlo squalifichi come uomo e tacciono, specialmente se chi ha agito violenza è un amico. Quando invece si apre la possibilità di conoscere il punto di vista delle donne, anche un ragazzo può ragionarci e prendere posizione.

Su TikTok girano video che celebrano un altro stereotipo: la gelosia. Li ha visti?

Sì, un paio di settimane fa un insegnante ce ne ha mostrato uno e ne è nato un dibattito. Conosco persone anche istruite e informate che su questi temi cadono. Incide l'aspetto interiorizzato del possesso, della donna come oggetto. Quei video mostrano solo una parte della realtà, ma danno un'idea del lavoro necessario.













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