Al centro di culto islamico due fazioni ai ferri corti 

In via Fermi a Sinigo. L’ala moderata denuncia: «Chiusi i locali, costretti a pregare all’esterno» Ma i contestatori sono pronti a tendere la mano «per trovare una soluzione prima del Ramadan» 


Simone Facchini


Merano. Si inasprisce la lotta tra fazioni all’interno del centro di culto islamico a Sinigo. «Adesso hanno chiuso i locali. Siamo costretti a pregare all’esterno», accusa l’ala moderata che contesta l’imam e contestualmente l’ utilizzo degli spazi, a loro dire privatistico, da parte dell’associazione che gestisce il luogo. Fra meno di un mese, il 5 maggio, comincia il Ramadan e per quella data «è necessario trovare una soluzione».

La contrapposizione.

La battaglia sull’uso di quella conosciuta come “moschea di Sinigo”, in via Fermi, si trascina da tempo. Con articolati passaggi anche in sede giudiziaria che tuttavia non hanno ancora portato a una distensione. Da una parte c’è l’associazione “Dialogo e Pace”, che dovrebbe condurre la gestione. Dall’altra un gruppo di fedeli che da tempo lamenta un’amministrazione dai toni troppo radicali.

Luogo di aggregazione.

Un paio di settimane fa, l’ala moderata che si ribella alla gestione era nuovamente uscita allo scoperto denunciando la situazione. «Per tutta risposta il centro è stato chiuso», affermano i latori della protesta che, sulla base della compartecipazione all’acquisto, avevano messo sul tavolo la proposta di suddividere il locale, in modo da poterne utilizzare liberamente almeno una parte. «Nel frattempo - continuano - la chiusura del centro ci ha obbligati a pregare all’esterno. Senza dimenticare che la struttura dovrebbe fungere non solo da luogo di preghiera, ma anche da centro di aggregazione per varie iniziative. In questo quadro di circostanze, siamo costretti a portare i nostri figli a Bolzano per studiare il Corano».

In tribunale.

Le origini della vicenda vanno fatte risalire al 2014, quando un centinaio di persone di fede islamica aveva contribuito in quota variabile alla colletta che consentì l’acquisto del locale di 500 metri quadrati di via Fermi, raccogliendo in un paio di mesi 160 mila euro. Le frizioni sulla gestione del centro erano poco dopo degenerate in un procedimento arbitrale disposto dal tribunale, con disposizioni riguardanti la composizione dell’elenco dei soci e del direttivo. I provvedimenti, secondo i contestatori, non sarebbero mai stati attuati.

Le proteste dei vicini.

Gli assembramenti all’esterno dello stabile, dovuti alla chiusura del centro, hanno ultimamente indispettito i residenti della zona. Ma chi da tempo protesta cerca la riappacificazione: «Tendiamo ancora una volta la mano alla controparte per trovare una soluzione».













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