Mille donne e una fabbrica: l’epoca Loden alla Merlet 

Come eravamo. L’avventura inizia nel primo dopoguerra quando l’imprenditore Paul Oberrauch acquisisce marchio e logo di un negozio gestito da un pittore di Bolzano. Le testimonianze raccolte da Sonja Steger, Enzo Nicolodi e Toni Colleselli


Jimmy Milanese


Merano. Per decenni uno dei più importanti centri del Loden è stato Merano. Nella nostra città, presso la fabbrica Merlet di via Toti, venivano disegnati e confezionati i famosi cappotti che hanno fatto storia in tutto il mondo. Sono oltre mille le ragazze che tra gli anni cinquanta fino all’estate del 2002 hanno contribuito a questo successo, ora racchiuso in un libro: “Donne della Merlet” a cura di Sonja Steger, Enzo Nicolodi e Toni Colleselli. Una storia aziendale che non ha lasciato traccia fisica in città, visto che dove sorgeva la fabbrica, in via Toti, oggi trovano posto dei condomini. Ma i meno giovani se la ricordano di certo, quella fabbrica, capace di sfornare Loden che negli anni Settanta vestivano tutta la città, e non solo.

Gli albori.

L’avventura della merlet a merano inizia nell’immediato dopoguerra, più precisamente nel 1945, quando l’imprenditore paul oberrauch acquisisce marchio e logo di un negozio gestito dal pittore erwin merlet nel centro di bolzano. la merlet arriva quindi in città, prima a maia alta, poi si allarga in via otto huber, quindi in via toti, nel capannone che fino al 2000 ha prodotto i famosi loden, ma prima ancora zaini e indumenti in pelle. solo nel 1960 merlet si converte e passa alla produzione di abbigliamento, concentrandosi su loden e articoli da sci, quando ormai la fabbrica è una importante realtà produttiva della città. nel 1969 merlet si trasforma in spa, mantiene il marchio ma cambia denominazione. isaria, presieduta da paul oberrauch contava allora circa 360 dipendenti, oltre il 90% erano donne. periodo di grande espansione, gli anni settanta, con l’addetto al personale alla costante ricerca di collaboratrici, come si dice oggi e come percepivano i dipendenti allora, molti dei quali hanno aiutato gli autori nella redazione del volume, ricordando cosa fu per loro la fabbrica.

Le assunzioni.

Solo nel 1970 oberrauch assume ben 191 persone, a fronte di 111 dimissioni e, in alcuni casi, licenziamenti. non per crisi aziendale, ma perché il periodo di prova spesso non veniva superato, data la difficoltà di reperimento di personale qualificato in zona. il 1972 segna una svolta per merlet, per via della assunzione di hubert holzner come capo amministrazione. nessuno dei figli di oberrauch dimostra mai reale interesse alla successione, e con la fine degli anni settanta, crisi internazionali che mettono in ginocchio l’economia, il greggio va alle stelle e anche alla merlet si fa ricorso alla cassa integrazione, con holzner che raggiunge il controllo della società, grazie alla acquisizione dei suoi 2/3. sarà lui a traghettare l’azienda fuori dalla crisi, riducendo il personale a una settantina di persone, oppure, esternalizzando alcuni servizi, quando il mondo già iniziava a sentire il fiato della locomotiva cinese. il 1997 segna un colpo per la fabbrica, per via di un incidente subito da holzner che lo costringe alla infermità. di lì una lenta discesa, fino al 2002, quando gli stabilimenti vengono chiusi definitivamente e merano si trova improvvisamente spoglia dei suoi loden.

La rimpatriata.

Nel volume “donne della merlet”, alcune delle mille protagoniste del successo della fabbrica raccontano la propria esperienza. esperienze che sono state oggetto anche di una serata di rimpatriata presso la sala urania, alla quale hanno partecipato molte di quelle dipendenti che ancora oggi ricordano con un filo di nostalgia la grandezza di quella azienda. un luogo, la fabbrica, visitato di persona da diversi personaggi illustri e allo stesso tempo amanti del loden, come ad esempio giulio andreotti, oppure il bobbista olimpionico eugenio monti.

I ricordi.

Tra le ex dipendenti, annamaria marsula, in merlet dal 1971 al 2000 ricorda l’unica fabbrica tessile della città, e il fatto che alle donne, allora, non fosse concesso così facilmente di lavorare. «ero la numero 284, nel 1971, quando iniziai a lavorare li – spiega marsula – a quei tempi non si aveva scelta, ma alla merlet il sabato e la domenica non si lavorava: mica male!». certo, non era tutto oro colato, come ad esempio la temperatura negli stabilimenti, in estate capace di raggiungere i 35/36 gradi. «noi tra le nostre mani tenevamo cappotti in loden!», ricorda marsula. ma ci sono anche i 40 gradi della stireria, tra i ricordi di chi passò anni della sua vita in quel posto. oppure, quella evasione dei contributi inps degli anni sessanta, che rimbalzò la merlet nelle cronache della stampa nazionale. dall’altra parte, la ditta organizzava e pagava delle gite, ad esempio quella del 1972 al lago di braies, poi con la crisi questa pratica è terminata.

Nella storia della fabbrica ci sono anche le occupazioni, come quella del 1982, quando la direzione voleva togliere alle sue collaboratrici la quattordicesima mensilità. chiusi i cancelli con una catena, nessuno poteva entrare, «tranne quattro che volevano lavorare ugualmente», ricorda non senza polemica la ex dipendente. due settimane, giorno e notte, dentro la fabbrica occupata, sottolineano altre ex dipendenti, poi nel 1984 la crisi del loden, ormai tessuto superato e comunque prodotto in altri paesi ma a prezzi stracciati. da quel momento, il lavoro a singhiozzo, una settimana sì e una no, per molte donne della donne della merlet.

Con la fine dell’era holzner, e sono molte le ex dipendenti a raccontarlo, finisce la magia in fabbrica, anche per via di un management «borioso».

L’amianto.

Nel momento in cui la fabbrica venne demolita, per le dipendenti arrivò una sorpresa atroce. C’era amianto dappertutto, nei locali dove le mille donne della Merlet avevano lavorato, e perfino le canne del vapore dei ferri da stiro contenevano quel metallo che in Italia aveva già seminato morte. Molte, tra le ex dipendenti, le donne che negli anni si sono ammalate. Donne che si alzavano alle sei di mattina e iniziavano il turno alle sette, nella loro posizione di lavoro, chi alle macchine da cucire, chi ai banchi del taglio e chi alla stireria. Tra gli interventi nel volume “Donne della Merlet” ci sono anche quelli di donne che mai lavorarono in via Toti, ma nella sede di Maia Alta, come Pulcheria Fadin, dal 1949 al 1962 in Merlet, nelle sedi di via Otto Huber e Maia Alta. «C’era molta solidarietà, tra di noi, anche se il problema erano i nostri capi, persone di altri tempi, ovviamente, mentre il proprietario, Paul Oberrauch, era una persona veramente in gamba», ricorda la signora Fadin. “Donne della Merlet” è più che un volume sulla storia della industria meranese, è uno spaccato di come viveva la nostra città, un esperimento riuscito di convivenza etnica, opportunità di emancipazione per tante donne, molte delle quali, con le lacrime agli occhi, qualche sera fa si sono ritrovate alla sala Urania, come se fosse stato un ennesimo giorno di lavoro, alla loro Merlet: la fabbrica dei Loden di Merano.

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