Max Ansoldi, la grande storia in bianconero senza lieto fine 

Il divorzio. Bandiera dell’hockey meranese prima come giocatore e negli ultimi anni da allenatore, Massimo è stato messo alla porta  dal club: «Ci sono rimasto molto male, però non posso portare  rancore verso una maglia che è stata la mia seconda pelle»


Jimmy Milanese


Merano. Dal 1991 al 2014, salvo alcune breve parentesi a Milano, Bolzano e Appiano, è stato bandiera sul campo e fuori dell’Hockey Club Merano, formazione con la quale si è laureato campione d’Italia nel 1998/99 e con la quale è sceso sul ghiaccio in 696 incontri per un totale di 613 punti realizzati tra goal e assist. Gli ultimi sei anni sulla panchina dell’Hc Merano Junior, ma all’improvviso Massimo “Max” Ansoldi esce dai piani della società, dopo una vita dedicata alla sua squadra, e alla sua città. Perché la dirigenza dell’HC Merano Junior all’improvviso ha deciso di non confermarlo? «Credo che i motivi siano due: la mancata ascesa in Alps Hockey League e la posizione di alcuni giocatori». Questa la sentenza di Max.

Può spiegare meglio?

In sostanza, mi hanno convocato l’altro giorno e in pochi minuti mi hanno dato il benservito. Spiegandomi che alcuni giocatori sarebbero “contro di me” e per questo avrebbero posto un veto sulla mia riconferma. Ma il punto è che se me lo avessero detto prima mi sarei organizzato, visto che c’erano altre squadre interessate al mio contributo. Così, invece, sono stato preso del tutto alla sprovvista.

Possibile che siano stati i giocatori a decidere?

Non so che dire, credo che la dirigenza abbia preso la palla al balzo, anche perché abbiamo dominato il campionato, vinto la Coppa Italia, e negli ultimi anni siamo stati sempre al vertice. Insomma, ci sono rimasto male.

Ed ora, che succede?

Il Merano era casa mia, ora non lo è più. È un mese e mezzo che non sentivo nessuno, ma dopo sei anni mi sarei aspettato una parola diversa. Nell’ultima stagione abbiamo perso 5 partite su 50! Vorrei ringraziare comunque tutti, senza alcun rancore, dai giocatori allo staff ai tifosi e anche la società che mi ha lanciato come allenatore, augurando loro il meglio.

Facciamo un passo indietro, come nasce Max Ansoldi giocatore?

Avevo 4 anni e andavo a pattinare al palazzo vecchio, mentre a Lagundo giocavo a hockey sul cemento, con le palline da tennis. A 11 anni circa, tardissimo, ho unito le due passioni, perché prima giocavo a calcio con il Sinigo.

Chi ti ha convinto?

Mia cugina era la compagna di Mark Morrison, indimenticabile giocatore dell’Hcm, mi hanno portato allo stadio e così ho iniziato a giocare a hockey.

Con la maglia numero?

Con il 16. In origine avevo il 17, ma quello era il numero di Morrison, per questo alla fine scelsi il 16, come Frank Nigro.
Pochi anni fa il club ha ritirato la maglia col mio numero ed è in quei momenti che entri per sempre nella storia di una società.

Ala destra tutta la vita?

Sì, sempre ala destra, per tutta la vita. Mi piaceva Paul Beraldo, assieme per poco al Saima Milano nel 1994. Una vera ala destra.

Milano, appunto, una delle parentesi fuori dalla sua Merano.

Una scelta obbligata, visto che il Merano era retrocesso. Dopo il primo anno a Milano ho avuto parecchie proposte per il Canada, e ci sono anche andato, a Montreal, ma avevo nostalgia, non volevo andarmene dall’Italia. Ci sono stato parecchie volte in nord America ma allora, non so perché, quel mondo non mi affascinava.

Scelta che rifarebbe?

Se potessi tornare indietro, mi manderei a pedate nel sedere in Canada a fare formazione. Certo, il livello in Italia era altissimo, a Milano c'era uno squadrone, nel 1994 ero una giovane promessa, ma chissà come sarebbe andata lì, nella Mecca dell’hockey, se ci fossi rimasto.

Nella stagione 1998/1999 arriva il secondo scudetto per il Merano: cosa ricorda?

Il pubblico meranese nelle gare di finale a Bolzano: era come giocare in casa. Mi ricordo che dopo avere vinto a Bolzano, tornammo a Merano e via Palade era bloccata da un fiume di persone al punto che non riuscivi più a camminare. Un’esperienza indescrivibile.

E uno scudetto anche a Bolzano, dopo otto anni di digiuno!

Stagione 2007/2008. A Bolzano sono andato due volte, anche lì non avevo alternative, il Merano purtroppo non era in serie A, ma io volevo giocare nella massima serie. Non ero professionista, avevo il mio lavoro, come oggi, stare vicino a casa era importante, mi hanno chiesto e ci sono andato.

E la prima partita, ma guarda il destino…

Un’amichevole a Merano contro la mia ex squadra. Stranissimo indossare la maglia del Bolzano, ma se fai quel “mestiere”, devi onorare la maglia che indossi, e lo feci.

Sensazioni forti anche per quello scudetto?

Non paragonabili a quelle della stagione memorabile a Merano. In biancorosso fu una bella cavalcata, una squadra forte che non raccoglieva risultati, poi il cambio allenatore, e siamo venuti fuori con un gran playoff. Eravamo in quattro meranesi, abbiamo contribuito a riportare lo scudetto a Bolzano.

E il capitolo nazionale?

Lasciamo perdere. Ho fatto circa venti raduni, tanti complimenti, pacche sulla spalla, poi arrivavano gli oriundi, magari anche mezzi infortunati, e giocavano loro. Ho detto basta, mi hanno richiamato ma non sono andato a farmi prendere in giro.

Hockey di allora e quello di adesso: differenze?

Sono spariti i giocatori forti stranieri o oriundi. Ricordo Jagr su tutti e tanti altri, ma quelli italiani oggi sono preparati molto meglio di allora. Ci sono giovani completi, bravi con il bastone ma anche a pattinare: cosa che per anni è stata una pecca del nostro hockey. Oggi le partite finiscono 3-1 o 4-2, l'hockey è tecnico e veloce e non c'è più il divario enorme di una volta tra italiani e stranieri.

Il lavoro con il bar, la passione per la pesca. Ma adesso, Max Ansoldi che farà?

Ora vediamo, sono stato preso alla sprovvista, devo guardarmi attorno ma qualcosa sono certo accadrà, come sempre: il disco nell’angolino so ancora metterlo!













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