La storia

Nelle Marche (da Merano) per fare impresa coltivando cannabis light 

La sfida. Trentenni, hanno rilevato un terreno abbandonato da tempo  a Comunanza, località che porta i segni del sisma del 2016, e lo hanno convertito alla produzione legale della canapa. Partita da zero, l’azienda in poco è decollata grazie all’intuizione e alla voglia di mettersi in gioco


Simone Facchini


MERANO. Ritrovarsi a trent’anni e affrontare il tema “cosa farò nella mia vita”. L’intuizione, e il coraggio di provarci. È il preludio alla storia di tre meranesi – più un quarto a “sostegno remoto” - che racconta di un piccolo-grande successo imprenditoriale. Loro sono Nicola Kulbaka, Mirko Destro e Giulio Di Vietri, adesso vivono a Comunanza in provincia di Ascoli Piceno. Coltivano cannabis light e l’azienda è decollata.

L’idea.

Il retrobottega dell’idea alloggia a migliaia di chilometri. In California, dove Nicola approda durante uno dei suoi viaggi alla scoperta del mondo e trova lavoro in un’impresa che produce canapa medica. Si ferma un anno e mezzo. Ma c’è anche della Spagna di mezzo perché Mirko ha un trascorso nei “social club” a Granada: sono associazioni no-profit legalmente costituite per la produzione di cannabis. Tornati in Italia e coinvolgendo Giulio, la scintilla: applicare le esperienze acquisite da autodidatti e trasformarle in una fonte di reddito. Sì, ma dove? «Abbiamo puntati gli occhi sul Marchigiano, grazie a contatti con dei familiari di Giulio. Un territorio ferito dal terremoto del 2016, che ha accelerato una fuga dalla campagna già in atto da tempo. A Comunanza e dintorni tanti hanno preferito accasarsi alla Whirlpool, o comunque cercare un lavoro diverso dall’agricoltura».

La “scommessa”.

Soprattutto in appezzamenti di dimensioni contenuti, la concorrenza con l’industria agroalimentare è tremenda. «Ma dipende dal tipo di coltivazione. Per la nostra, almeno per partire, bastano un paio di ettari. E qui abbiamo trovato le condizioni favorevoli alla coltura che avevamo in mente. Questo i ragazzi lo dicono ora che l’intuizione si è trasformata in realtà. Ma tre anni fa, all’inizio di tutto, sapeva molto di scommessa.

Nel 2016 esce in Italia una legge finalizzata al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera della canapa. È la scintilla. «Ci ronzava in testa l’idea di darci all’agricoltura, quella legge ha fatto da trampolino per studiare il salto». Non è stato facile trovare la quadra economica, perché pur a prezzi “in saldo” i terreni costano, e poi c’è da trasferirsi, da trovare un alloggio, da reperire attrezzature (una grossa mano dalla famiglia di Giulio) e materie prime… «Abbiamo dato fondo ai nostri risparmi e ottenuto l’appoggio di un quarto amico, Simone Munda, che è rimasto a Merano ma ogni volta che può ieri come oggi ci raggiunge e si mette al lavoro. Avevamo i soldi sufficienti per partire».

Le mani nella terra.

Entra nel vivo una vicenda che mischia spirito imprenditoriale e voglia di mettersi in gioco, ritorno alla terra e rilancio di aree terremotate. Ma questa è solo la copertina con sottotitoli del racconto che nella sua seconda fase sa di fatica e sacrifici. «Per primi ci siamo trasferiti Mirko e io», racconta Nicola. «Davanti a noi un campo abbandonato da un quarto di secolo, come sfondo il parco nazionale dei Monti Sibillini. Per un anno e mezzo abbiamo lavorato, partendo da zero, per bonificare il terreno. Tutto con le nostre mani. Abbiamo estrapolato l’acqua per l’irrigazione allacciandoci a una vena idrica a sette metri di profondità. Abbiamo ristrutturato e convertito i laboratori. Per quasi due anni senza incassare nulla». Ma sempre con la fideistica abnegazione in chi crede in se stesso e nel proprio progetto.

La diffidenza da sconfiggere.

Gli abitanti di Comunanza, tremila anime nella terra di mezzo fra Appennino e Adriatico, si chiedono cosa stiano combinando quei ragazzi. Il campo che sta risorgendo alle porte delle loro case è il traslato di quanto avviene parlando di canapa: una miscela di tabù e curiosità, terreno fertile per gli scettici alla quale i giovani meranesi rispondono lavorando a testa bassa e con il sorriso di chi è convinto di quello che fa. E riescono a integrarsi. «Abbiamo fatto opera di sensibilizzazione per togliere lo stigma della coltivazione di canapa», spiegano Mirko e Giulio (che lo scorso settembre ha lasciato un posto fisso a Merano per raggiungere gli amici e dedicarsi al 100% all’azienda).

Nell’aprile del 2019 la prima semina e in autunno la raccolta. Già, ma di cosa esattamente? «Produciamo cannabis light. Lavoriamo in modo sostenibile, senza usare pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici. Tutto è al 100% naturale. Ovviamente il contenuto di Thc dei nostri prodotti è inferiore ai limiti di legge, mentre ci concentriamo sui valori di Cbd, sostanza non psicoattiva: sempre più studi scientifici ne mettono in rilievo i tanti benefici. Non crea assuefazione e ha una vasta gamma di applicazioni terapeutiche. Anche l’Oms e di conseguenza l’Onu stanno abbattendo i pregiudizi sull’utilizzo della canapa: non solo a parole, ma con atti formali».

Nuova vita.

Il lancio sul mercato si rivela un successo. L’anno scorso le vendite si consolidano e l’azienda allarga gli orizzonti: la produzione di birra, una collaborazione per realizzare l’olio. Tutto a base di canapa, naturalmente. «Gli affari girano, il settore è in espansione, l’e-commerce ci aiuta. Ma la gente ha anche bisogno di contatto. Stiamo assumendo due persone della zona con contratti a tempo indeterminato. Siccome il calcio è sempre stata una passione un po’ di noi tutti, siamo divenuti sponsor dell’Ascoli che gioca in serie B». E la vita, a Comunanza? «Costa poco. Viviamo in una casa grande, la montagna da una parte, il mare a una ventina di chilometri. Siamo immersi alla natura appenninica, cinghiali e cerbiatti, tassi e lupi. Curiamo una piccola “fattoria domestica”, qualche gallina e alcune oche. E un orticello». Dove hanno piantato anche due alberi di mele. Altoatesine.













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