Truppe decimate e spille sul petto Luci e ombre di Luigi Cadorna 

Storiografia. Stasera il consiglio comunale sceglierà il nome da sostituire a quello del generale sulla targa dell’omonima via Da Caporetto in poi, la sua figura è nell’occhio del ciclone da cent’anni


Jimmy Milanese


Merano. Questa sera il consiglio comunale si riunirà per scegliere uno dei quattro nomi proposti per la sostituzione dell’intitolazione al generale Luigi Cadorna della via che costeggia l’areale delle caserme, già deliberata nel 2018 a seguito di una mozione del consigliere David Augscheller. I nomi sono quelli di Elena Stern De Salvo, vittima del nazifascismo all’età di sei anni, dell’artista di origini ceche Aliza Mandel, della scrittrice Anita Pichler e della principessa Mathilde von Schwarzenberg.

Provvedimento, questo, adottato in passato già da altre amministrazioni comunali, come nel caso di Udine, quando nel 2011 la commissione toponomastica ribattezzò in “piazzale Unità d’Italia” la piazza prima intitolata a Cadorna. Iniziativa che trova riscontro anche in proposte avanzate in altre città italiane, come Bassano del Grappa, e che a Merano vedrà il consiglio impegnato in un voto segreto per il quale, appunto, è richiesta la presenza fisica dei membri.

Una figura controversa.

Il motivo di queste iniziative è presto detto. Infatti, quella del generale Cadorna è una figura da sempre al centro di polemiche politiche e discussioni tra storici, in particolare per via di una certa spregiudicatezza nei confronti dei suoi soldati attribuita al Capo di Stato maggiore dell’esercito che comandò le 35 divisioni italiane nel corso della Prima guerra mondiale fino alla disfatta di Caporetto nel novembre del 1917. Una sconfitta entrata nel gergo comune e che costò a Cadorna il comando a favore della medaglia d’argento al valor militare Armando Diaz, entrato nei libri di storia come “il duca della vittoria”.

Ma chi è stato il generale Luigi Cadorna, al quale la storia ha riservato per anni un posto d’onore tanto che gli è stato dedicato, tra le altre opere, un mausoleo nella sua città natale di Pallanza e un’importante stazione della metropolitana di Milano? A dire il vero, la messa in stato d’accusa nei confronti del generale Cadorna risale già alla fine della Prima guerra mondiale, quando Vittorio Emanuele Orlando, allora presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, ordinò l’istituzione di una commissione d’inchiesta che facesse luce sui fatti di Caporetto, i quali avevano determinato una clamorosa sconfitta italiana contro l’esercito austroungarico. Una ritirata obbligatoria, dopo che le truppe avversarie avevano sfondato le deboli e impreparate linee di difesa italiane nel Nordest, costringendo i nostri soldati a ripiegare sul Piave. Truppe in ritirata e allo stremo delle forze, dopo aver combattuto duramente e invano undici battaglie sulla linea dell’Isonzo, proprio su ordine di Cadorna che basava la sua strategia militare sul motto austriaco “Sempre e in ogni caso avanti fino al nemico”.

La biografia del generale.

Strategia appresa nei decenni precedenti, ma anche presente nel dna di famiglia, essendo Cadorna discendente di un’illustre famiglia di militari. Nato nel 1850 e avviato dal padre agli studi militari prima a Milano e poi a Torino, nel 1870 il nemmeno ventenne Cadorna partecipa a una spedizione militare guidata dal padre per la riunificazione di Roma sotto il Regno d’Italia.

Promosso colonnello nel 1892, Cadorna si distingue subito per la sua rigorosa interpretazione della disciplina militare e per il ricorso a dure sanzioni verso i suoi sottoposti, testimoniate da numerosi richiami scritti da parte dei suoi superiori. È in questo periodo che il giovane militare teorizza i suoi principi tattici che prevedono l’offensiva ad oltranza e a qualsiasi costo, d’altronde largamente in voga in quel periodo a scapito delle tattiche difensive, alla cui assenza si dovrà gran parte della sconfitta di Caporetto.

Nel corso degli anni, la sua scalata alle gerarchie dell’esercito continuerà incontrastata fino al 1898, quando a Cadorna viene conferito il grado di tenente generale. Ormai inserito stabilmente nella ristretta cerchia di ufficiali dell’esercito, il generale proveniente dal lago Maggiore si distingue per una polemica nei confronti dell’allora capo del governo.

Con una celebre lettera a Ugo Brusati, amico e primo aiutante del re, Cadorna esprime il suo disappunto verso la politica di Giovanni Giolitti, accusando il governo di non prestare troppa attenzione alla riorganizzazione dell’esercito. Le risposte del governo, da lui ritenute insoddisfacenti, indussero Cadorna a formulare il “principio dell’unicità e indissolubilità del comando”, il quale doveva essere affidato al Capo di Stato maggiore e sottratto alla politica.

Prima della guerra.

In un primo momento, questa esposizione mediatica gli costò il comando dell’esercito italiano, che arrivò però il primo luglio del 1914, in seguito alla morte improvvisa del generale Alberto Pollio, suo precedessore e acerrimo nemico. È a questo punto che, scoppiato il primo conflitto bellico, Cadorna chiede al governo con ancor maggior forza di rimodernare l’esercito, uscito distrutto dalla campagna di Libia, oltre all’invio di cinque corpi d’armata sul Reno a difesa delle forze tedesche contro la Francia.

Alla fine, contrariamente alle indicazioni del generale, l’Italia decise di abbandonare la Triplice alleanza che dal 1882 la legava a Germania e Austria-Ungheria, per entrare in guerra al fianco del Regno Unito, della Francia e della Russia. Con l’inizio delle ostilità, Cadorna iniziò a contestare il comportamento dei suoi generali, fino a ipotizzare la destituzione preventiva, basata sul fatto che buona parte dei generali selezionati durante il tempo di pace secondo lui non mostravano doti adeguate al suo motto “Morire, non ripiegare”. In pochi anni, Cadorna esonerò 206 generali e 255 colonnelli con la motivazione di presunte incapacità, ma il comportamento che più rimase impresso in alcuni diari scritti da suoi soldati fu la scarsa considerazione per la vita dei suoi sottoposti che spesso sfociava in fucilazioni ed esecuzioni sommarie.

La disfatta di Caporetto.

D’altro canto, sul versante delle abilità come stratega di guerra, sono molte le intuizioni di Cadorna che gli eventi bellici confermarono. Ad esempio, prima di altri il generale capì che l’uscita della Russia dalle ostilità, a seguito della rivoluzione bolscevica, avrebbe comportato un pericolo per le truppe italiane, in quanto la liberazione delle forze tedesche impegnate sul fronte asiatico avrebbe imposto all’esercito italiano un maggior sforzo sul fronte dell’Isonzo.

Allo stesso modo, nella disfatta di Caporetto c’è da rintracciare anche una sostanziale impreparazione delle truppe italiane, oltre all’assenza di un equipaggiamento militare adeguato richiesto dallo stesso Cadorna al governo in tempi non sospetti. Artiglierie nemiche molto meglio preparate e stanchezza dei soldati italiani furono il mix micidiale che il 24 ottobre del 1917 permise alle truppe nemiche di sfondare la linea di difesa italiana sull’Isonzo, lasciando a Cadorna la sola opzione della ritirata fino alla linea Piave-Monte Grappa. La sconfitta costò il posto al governo presieduto da Paolo Boselli e il comando a Cadorna, sostituito da Armando Diaz.

Senatore fino al 1928.

Senatore dal 1913 e in carica fino al 1928 (anno della sua morte), Cadorna finì perfino a ricoprire un ruolo nella commissione che dovette fare luce sulla disfatta di Caporetto. Alle accuse verso il suo comando aspro e incapace di pianificare una difesa rispose con il silenzio. Non rimase in silenzio, invece, nella compilazione dei suoi famosi bollettini di guerra nei quali senza alcuna remora accusava di “viltà” alcuni suoi sottoposti che si sarebbero rifiutati di combattere.

La nuova lettura.

Chi già allora lo criticava, come il deputato Vincenzo Riccio, lo descriveva come un uomo attento solo a crearsi alibi per sottrarsi alle sue responsabilità, colpevole tra l’altro di aver indotto, nel solo periodo tra l’aprile e l’agosto del 1917, quasi seimila soldati alla diserzione per disperazione.

Insubordinazioni che segnalano una sofferenza generale dell’esercito, costretto a estenuanti e interminabili assalti al nemico. Accuse pesanti contraddette da relazioni di cappellani militari e alti ufficiali i quali, ascoltati dalla commissione d’inchiesta, hanno spiegato come la situazione estrema sul campo di battaglia rendesse tutto molto complicato, ma in sostanza scagionando Cadorna dalle accuse più infamanti. Lo storico David Stevenson lo ha definito “uno dei comandanti più insensibili ed incompetenti della Prima guerra mondiale”.

Accuse e difese, con una prevalenza delle prime sulle seconde, messe a tacere per decenni per via della segretazione degli atti della commissione che indagò sulla disfatta di Caporetto. Una decisione che lasciò irrisolto il dilemma sulla personalità militare di Luigi Cadorna, al quale negli anni furono dedicati ferrate, monumenti, piazze e vie, recentemente messi in discussione dalla pubblicazione di alcune lettere che forniscono ulteriori dettagli su cosa accadde in quei concitati anni attorno alla sconfitta più cocente di tutta la storia militare italiana e dalle cronache che descrivono la reputazione di cui il generale godette nel corso degli anni.













Altre notizie

Attualità