Blut senza Boden: il Sudtirolo e il fascino del razzismo nazista
Storia e memoria. Apre domani a Castel Tirolo la mostra “La Grande Germania chiama!” A curare la rassegna, ricchissima di materiali inediti, lo storico Hannes Obermair «Esploriamo il ruolo attivo dei sudtirolesi che simpegnarono a favore di Hitler durante le Opzioni»
Bolzano. Sudtirolesi vittime due volte. Prima del fascismo, poi del nazismo. Ritratti sempre dentro una iconografia fatta di carri trascinati via dalla Heimat verso una terra straniera . Blut (sangue) senza più Boden ( suolo). Vittime nel ’18 e dopo il ’22 del nazionalismo italiano, poi del “tradimento” hitleriano che firma le opzioni con Mussolini, strappandoli dai masi per usarli come arma biologica per la germanizzazione dei confini del Reich a oriente. In realtà Hannes Obermair usa un altro termine: materiale biologico. «Tanti sudtirolesi non sono vittime ma protagonisti delle opzioni. E sono dentro - spiega lo storico, ricercatore , docente alla Lub, già alla guida degli archivi comunali - quel meccanismo razziale hitleriano che vive in una concezione biologica della nazione tedesca , di cui gli altoatesini si trovano spesso a condividerne gli slanci identitari». E cita Josef Dorfmann, nato a Novacella, che nel ’39 chiede la cittadinanza tedesca e diviene, nel corso delle Opzioni, il creatore di una campagna di marketing straordinariamente efficace, agile nel condire richiami alla patria dolomitica con le visioni razziste di ripopolamento forzato dei confini etnici del Reich . Campagna fatta di disegni, vignette, slogan, rivolti soprattutto a quelle elite giovanili che si andavano costituendo nel Vks, il Voelkischer Kampfring Suedtirols ,il Fronte patriottico sudtirolese. Tutto questo materiale propagandistico diviene nelle mani di Dorfmann “«un impressionante documento del totalitarismo “Voelkisch”». Da qui nasce la nuova prospettiva con cui ora possiamo guardare a quel tremendo momento della storia non solo altoatesina, finalmente depurato da una retorica di contorno dichiaratamente vittimistica ma inserito invece in una percezione delle cose profondamente condizionata da quello che stava accadendo in Germania e in Europa in termini di strategia razziale e di condivisione imperialistica. E da questo materiale, quasi tutto inedito, nasce la mostra che si apre domani, venerdi 18 settembre, a Castel Tirolo, presso Merano (dal 17 al 22 novembre , dalle 10 alle 17 esclusi lunedì e martedì ) dal titolo “La Grande Germania chiama!”. Curata da Hannes Obermair, apre squarci illuminanti sulle contraddizioni del percorso umano e politico di una intera popolazione dentro tempeste che già preannunciavano una guerra lunga e terribile.
L’Alto Adige, i sudtirolesi, sono stati schiacciati dal meccanismo della opzioni ?
Naturalmente sì. Ma il tema è un altro: ne sono stati solo vittime ?
E come si dovrebbe rispondere ora?
Che non lo sono stati. Molta parte di queste genti era già stata plasmata da una visione etnocentrica della vita. E si è trovata ad essere parte attiva di una strategia di marketing propagandistico che supportava e condivideva una visione nazionalsocialista dell'Europa, la quale presupponeva le popolazioni tedescofone protagoniste attive di operazioni di ripopolamento e di risistemazione in senso etnico delle zone grigie, ai confini del Reich.
Obermair, perché parla di parte attiva?
Le organizzazioni giovanili sudtirolesi, ad esempio, sono perfettamente integrate nella macchina “völkisch” e nella sua ideologia. La stessa iconografia assemblata da Josef Dorfmann, brissinese nelle Waffen Ss, riporta i gruppi sudtirolesi operanti dentro la struttura nazista, ben inseriti nel suo cuore. E gioca su richiami ambivalenti ma solo apparentemente contraddittori .
Che riguardano l'essere vittime -non vittime?
In parte. Le immagini del periodo delle opzioni sono piene di richiami alle montagne amate, alla casa, ai campi. Ma poi accelerano emotivamente chiamando a raccolta per andare a popolare le aree del Reich tedesco così come chiede il Füherer.
Una contraddizione inesplicabile ?
Solo apparentemente. C’è come il richiamo, all’orizzonte della storia, della possibilità del ritorno. Quasi una promessa: noi andiamo a fare il nostro dovere lasciando la Heimat ma essa resterà tedesca...
Promessa che poi divenne realtà dopo l’8 settembre. E senza la quale non si spiegano i fiori lanciati dalle ragazze lungo i Portici all'entrata delle truppe naziste...
È così. Perché i sudtirolesi dentro questa cultura c’erano rimasti in profondità negli ultimi quindici anni. Provando a far convivere l’adesione pantedesca, razzista e razziale del Reich con la vecchia patria tra le montagne .
Ma chi erano questi giovani sudtirolesi pronti a mobilitarsi nel Vks?
Erano persone perfettamente inserite nel loro tempo. E dunque facili prede della propaganda di Dorfmann e degli inviati nazisti pro Opzioni. Che nuotavano come pesci nell’acqua . Dicendo loro: se andate via di qui resterete tedeschi, se restate diverrete italiani. Ma dentro quelle contraddizioni apparenti di cui si diceva.
E cosa pensavano del Sudtirolo quelle nuove generazioni?
Beh, si sentivano diversi dai loro padri. Si percepivano investiti di una nuova missione. C’era in atto un vero conflitto generazionale allora, anche se finora non emerso con chiarezza nei documenti: con i giovani che accusano i più vecchi di “aver perso la guerra con gli italiani nel ’18”. E ora, il Vks aveva modo di preparare la rivincita.
Ma la gente, anche gli optanti, erano coscienti del senso del loro utilizzo dentro la macchina nazista ?
Difficile lo fossero. La propaganda infiorava la pillola. La realtà era che i tedeschi li consideravano materiale biologico. Erano uomini e donne sudtirolesi ma non singoli individui. Non cittadini ma sudditi. Erano massa di ripopolamento, questa era la realtà. Sangue tedesco di confine pronto per irrorare terre contese, magari. Dentro una concezione non politica ma biologica della nazione.
Cosa ci dice di tutto questo la mostra di Castel Tirolo?
Racconta quello che finora non era mai stato raccontato. Il materiale è inedito. Ottant’anni fa il percorso delle opzioni arrivava al suo culmine ma finora gli studi ne hanno tracciato i percorsi politici, diplomatici e qualche volta ideologici. Qui si entra nel vivo delle cose. Quasi una storia materiale di quel tempo e delle vicende. Le immagini ci dicono cosa realmente pensava la gente, di cosa si imbeveva , da quale geografia mentale era percorsa. E si scope che si tratta di una popolazione spesso protagonista di usato percorso, consapevole di quello che significava, in grado di accettare pienamente regole di vita e ideali nazisti. È importante oggi saperlo . Perché la storia serve anche a conoscere meglio noi stessi. Anche attraverso le contraddizioni. Anzi, soprattutto con queste.