Contro il Covid-19 anche gli specialisti dell’informatica 

Intervista a Giancarlo Guizzardi. Il docente UniBz e il suo gruppo in una rete internazionale «Col progetto “Vodan” vogliamo creare una solida infrastruttura di gestione dei dati scientifici» Se non si arriva a criteri condivisi di fruibilità e trasparenza, si perde tempo anche per il vaccino


Mauro Fattor


Bolzano. Regioni pronte a partire: la Toscana ne vuole un milione, il Veneto 700mila. Interessate anche Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna. Sono i test rapidi, quelli sierologici, che consentono di individuare le persone che in queste settimane sono entrate in contatto con il coronavirus e che, per almeno qualche mese, dovrebbero essere immunizzate. Poi c’è il Ministero della Salute che a sua volta, su indicazione del Comitato tecnico-scientifico della Protezione Civile, entro un paio di giorni dovrebbe presentare un piano che prevede centomila test rapidi per fotografare la diffusione del Coronavirus nel Paese. Informazioni potenzialmente utilissime ma con tante incognite e il rischio che la montagna (di dati in afflusso) partorisca poi il classico topolino (di risultati in uscita). Innanzitutto: quali test adottare, visto che in commercio ce ne sono oltre 250 tipi diversi con differente grado di affidabilità? E come farli? Con quali criteri? Su base demografica? Per categorie? Su base regionale? Il rischio è che diventi una Babele dove ognuno procede per conto proprio con valutazioni e criteri autonomi: Stato da una parte, Regioni dall’ altra e dio per tutti. Ma questo è solo un esempio tra i tanti possibili in questi giorni, inondati quotidianamente da un profluvio di numeri, statistiche, grafici. Spesso e volentieri divergenti, di certo non sempre illuminanti. Perchè i dati sono una brutta bestia. Non basta averli, bisogna anche saperli maneggiare, vanno torturati con intelligenza per cavarne quello che serve. Ne abbiamo parlato con Giancarlo Guizzardi, italo-brasiliano, docente del Dipartimento di Informatica della Lub di Bolzano dove è coordinatore del gruppo di ricerca Core (Conceptual and Cognitive Modeling Research Group). Guizzardi e il suo gruppo in queste settimane collaborano a una rete internazionale che promuove lo scambio di dati scientifici in relazione alla pandemia di Covid-19.

Perchè raccogliere dei dati sulla pandemia è così importante?

Nelle emergenze, come quella che stiamo attraversando, i dati diventano tra le nostre risorse più preziose. In situazioni complesse la gestione del rischio si traduce, in ultima analisi, nella gestione stessa dei dati. Venendo alla pandemia possiamo usare l’esempio della Corea del Sud dove si sta combattendo, pare con notevole successo, il virus proprio attraverso dati: epidemiologici, sulle interazioni personali, sui movimenti dei singoli individui, e via di questo passo.

I dati da soli non bastano però. Servono “buoni dati”...

È esatto. La qualità dei dati è fondamentale per ottenere informazioni affidabili. La mancanza di “buoni” dati può avere un impatto negativo a cascata sui processi decisionali, sulla definizione di politiche pubbliche efficaci e tempestive, sullo sviluppo di cure efficaci o persino di un vaccino. Altra cosa: perché l’ intelligenza artificiale possa lavorare sui dati individuando correlazioni reali, autentiche, serve un lavoro di analisi concettuale in grado di separarare il “segnale” dal “rumore di fondo”, ciò che davvero è da ciò che sembra. Dobbiamo infine essere in grado di integrare i dati provenienti da fonti differenti, visto che spesso le scoperte si nascondono nelle connessioni tra basi diverse di dati anziché all’interno delle basi stesse.

Applicato al Coronavirus, come si declina questo discorso?

Se per esempio pensiamo allo sviluppo di nuovi farmaci, significa che dobbiamo capire il rapporto tra almeno tre spazi concettuali diversi, che sono: le proprietà degli agenti biologici patogeni, in questo caso il virus; le strutture biologiche umane e infine le sostanze chimiche del farmaco che stiamo testando. Tuttavia, per farlo dobbiamo capire con precisione il significato di ciò che è descritto nei dati. In altre parole, serve la Trasparenza Semantica nella connessione tra dati e i fenomeni del mondo che ognuno di essi rappresenta.

Vuole spiegarsi meglio?

Volentieri, perchè questo è un punto fondamentale. Rendere chiara la semantica dei dati è decisivo perchè i dati provenienti da fonti diverse possono nascondere sottili differenze di significato. Faccio un altro semplice esempio: il significato di “Decesso causato da Covid-19” può variare in insiemi di dati diversi, se per esempio consideriamo Covid-19 come causa di morte solo quando è la causa iniziale, o invece in tutte le situazioni in cui è solo una delle concause. Le cose ovviamente poi si complicano quando i concetti diventano via via più complessi. Tornando al nostro esempio, quando diciamo “morto di Covid” dobbiamo quindi essere certi che, in contesti differenti, tutti intendano la stessa cosa. E attualmente non è necessariamente così.

Questa però è una questione che tocca tutta la comunità scientifica, e da molto prima dello scoppio della pandemia...

Sì, certo. Negli ultimi anni nella comunità scientifica internazionale c’è una crescente preoccupazione per arrivare a una gestione efficace nello scambio dei dati. In particolare, si osserva un crescente consenso sui criteri di qualità, includendo i cosiddetti criteri “Fair”. Oltre al significato di correttezza morale, “Fair” è un acronimo in inglese che significa “Findable, Acessible, Interoperable, Reusable”, ovvero “Trovabili, Accessibili, Connettibili e Riutilizzabili”. Per Trovabili si intende un modo globale e chiaro di far riferimento agli insiemi di dati; per Accessibili, politiche chiare di accessibilità includendo aspetti come la privacy sui dati personali e di rispetto delle leggi dove i dati sono conservati; per Riutilizzabili e Connettibili - in campo informatico si dice Interoperabili - invece si intende che i dati, pur essendo prodotti da gruppi distinti in situazioni diverse, possono essere riutilizzati e integrati in modo affidabile e coerente. I criteri “Fair” sono fondamentali per il progresso di una scienza davvero aperta, per lo sviluppo di collaborazioni scientifiche internazionali, per il riutilizzo e la riproducibilità dei risultati e, in ultima analisi, per accelerare il progresso scientifico e la sua diffusione.

Tutto questo come si connette all’attuale crisi pandemica?

Con l’attuale epidemia del virus della Sars CoV-2, l’iniziativa “Go Fair”, un movimento globale per sostenere l’adozione e la realizzazione dei principi “Fair”, ha organizzato una collaborazione internazionale su quello che con un acronimo è chiamato “Vodan”, ovvero Virus Outbreak Data Network. L’iniziativa è sostenuta da scienziati di diversi istituti di ricerca internazionali, tra cui il nostro gruppo di ricerca alla Lub di Bolzano. In particolare, stiamo contribuendo a questo movimento fornendo teorie, metodi e software per la creazione di modelli semantici di riferimento, con un particolare interesse a promuovere l’interoperabilità dei dati. Questi modelli rendono più preciso il significato dei dati e, quindi, più trasparente per tutti gli utenti, parliamo sia di utenti umani che di computers, la loro semantica.

Un network destinato a sparire con l’affievolirsi dell'emergenza Covid?

No, affatto. Non è un caso che l’iniziativa non si chiami “Sars CoV-2 Outbreak Data Network”. La ragione è che, oltre a fare il meglio possibile per l’attuale epidemia, l’obiettivo di “Vodan” è anche e soprattutto quello di creare una solida infrastruttura di gestione di dati scientifici “Fair”, in modo da essere meglio preparati anche in caso di future situazioni di crisi legate ad epidemie.















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