Emergenza Covid, tutte le differenze tra Italia e Germania 

L’analisi. Perché da noi e in molti altri Paesi del mondo il virus picchia così duro e a Berlino no? Perché i tassi di letalità sono così diversi? Abbiamo approfondito la questione chiedendo  ad una task-force di specialisti ed esperti di aiutarci a capire come stiano davvero le cose 


Mauro Fattor


Bolzano. Perchè in Italia Covid-19 picchia così duro? Perché i tassi di letalità sono così incredibilmente alti se messi a confronto con quelli di altri Paesi, Germania in primis, ma anche Austria? Da cosa dipende? In questi giorni il quesito - rimasto all’ inizio un po’ sottotraccia - ha preso vigore rimbalzando sempre più spesso anche sui media. In questo genere di discussioni si corre inevitabilmente il rischio di risultare superficiali. Di qui il nostro tentativo di capire e di rispettare la complessità di una situazione eccezionale come una pandemia. Il tema c’ è ed è molto stimolante.

Per capirne di più abbiamo chiesto aiuto a Guido Forni, immunologo, accademico dei Lincei, coautore assieme ad Alberto Mantovani e Maurizio Cecconi del Rapporto Covid-19 prodotto dall’ Accademia (e disponibile sul sito dei lincei, ndr); a Ottavio Davini, già direttore sanitario dell’ ospedale Molinette di Torino, un autentico specialista del rapporto tra medicina, società e sanità pubblica, autore tra il resto de “Il prezzo della salute” (edito da Nutrimenti), un’analisi puntuale del sistema sanitario italiano; e infine a Gabriele De Luca, ricercatore dell’ Istituto di Fisica dell’ Università di Zurigo, coautore assieme al CNR, al Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università della Campania ed altri, di uno studio statistico sull’”anomalia” italiana (Titolo: “The Covid-19 infection in Italy: a statistical study of an abnormally severe disease”) attualmente in fase di peer-review, cioè di revisione. Grazie al loro aiuto abbiamo raccolto, esaminato e interpolato una serie di dati per cercare di inquadrare ragionevolmente la questione, con la consapevolezza che per sapere davvero come stanno le cose bisognerà aspettare molto tempo e molti, molti altri dati. Per semplicità abbiamo scelto di procedere per brevi “capitoli”, come si fa con le FAQ, prendendo di petto il detto, senza dimenticare il non-detto che pure, qua e là, fa capolino. Con una premessa: qualunque considerazione si possa fare in questo momento è condizionata da due variabili cruciali, e cioè il modo con cui calcoliamo il numeratore (decessi) e quello con cui calcoliamo il denominatore (contagiati), variabili che possono modificare in modo sostanziale le percentuali che leggiamo. Cominciamo.

IN ITALIA SI MUORE PIÙ CHE ALTROVE.

Lasciando fuori la Cina, per molteplici ragioni (accuratezza dei dati forniti, stratificazione per età della popolazione, etc); in Europa i dati aggiornati al 12 aprile (worldometers.info) danno queste percentuali di letalità (ovvero il rapporto tra numero di decessi e numero di contagiati), con tutti i limiti descritti sopra: Italia: 12,8%; UK: 12,8%; Belgio: 12,7%; Francia: 11% Olanda: 10,6%; Spagna: 10,4%; Germania: 2,4%. È evidente quindi che l’anomalia da studiare è la Germania piuttosto che l’Italia (le differenze tra Italia e altri Paesi europei sono minime, statisticamente poco significative e condizionate dalle distorsioni di cui abbiamo detto. Inoltre, tutti i Paesi europei, a eccezione proprio della Germania, hanno una popolazione significativamente più giovane di quella italiana). Va anche segnalato come su questo argomento gli esperti tedeschi siano molto cauti, e una buona ragione sta nel fatto che all’inizio la loro letalità si attestava addirittura intorno allo 0,7%. Questo vuol dire che nella fase attuale è probabilmente superiore al 4%. Si deve tener conto inoltre che gli altri Paesi europei sono almeno di una settimana in “ritardo” nella curva rispetto all’Italia (forse con l’eccezione della Spagna che ha avuto una curva molto ripida).

LA GERMANIA HA UN SISTEMA SANITARIO MIGLIORE DEL NOSTRO.

Altamente probabile, ma non particolarmente rilevante. Certamente il sistema sanitario tedesco è molto più finanziato di quello italiano. La spesa pubblica incide in Germania per quasi il 10% del PIL (la più alta della UE), mentre la nostra è del 6,5%. Ma, nello specifico, a parte alcune aree della Lombardia, dove si è sfiorato il collasso, il sistema, grazie al sacrificio degli operatori, ha tenuto, senza creare le temute condizioni (se non sporadicamente) di dover decidere chi mandare in terapia intensiva. Si tenga anche conto che, se anche si fosse proceduto al triage “di guerra”, nei pochi casi in cui questo si potrebbe essere verificato (statisticamente irrilevanti) sarebbero stati esclusi da terapie invasive pazienti che comunque avevano probabilità di sopravvivere vicine allo zero. Quindi è improbabile che il delta della qualità - intesa essenzialmente come maggiori risorse e tecnologie - possa avere inciso.

LA GERMANIA HA PIÙ POSTI LETTO IN RIANIMAZIONE.

Qui c’è qualche sorpresa. Ammesso che questo possa rivelarsi un elemento cruciale, visto che il nostro sistema terapie di intensive nel complesso ha tenuto. In Italia i posti letto di rianimazione all'inizio della pandemia erano circa 5400, che sono quasi raddoppiati nel giro di 40 giorni. In Francia erano 5500, in Spagna 4404. E in Germania? Si è favoleggiato a lungo sulla cifra di 28.000 posti letto, un dato decisamente fuori scala rispetto alle medie internazionali. In effetti la realtà è un po’ diversa. L’1 aprile scorso un articolo su “Die Zeit” chiariva che il governo di Berlino non sa quanti posti letto ci siano nelle rianimazioni tedesche. I citati 28.000 sono un dato non attuale, basato su ipotesi e obiettivi. Il censimento dei posti letto delle singole rianimazioni sta avvenendo in queste settimane - a epidemia esplosa - e al momento, dopo aver ricevuto risposte da 912 strutture su 1160, il numero ammonta a 10.340 includendo anche le terapie intensive coronariche. Si può stimare quindi che il dato complessivo, visto che mancano le risposte di 248 ospedali, si aggiri sui 13.000 posti complessivi, meno della metà dei famosi 28.000 di partenza. In Italia al momento attuale, sommando le due tipologie, ovvero rianimazioni e terapie intensive coronariche, se ne stimano quasi 13.000, con un dato di partenza che si attestava attorno alle 8000 unità complessive. Il che significa che l’ Italia aveva lo 0,133 posti di terapia intensiva per 1000 abitanti e la Germania lo 0,158, che è un buon 18% in più, ma ben lontano dall’ essere il quintuplo.

I MEDICI TEDESCHI SONO PIÙ BRAVI DI QUELLI ITALIANI

Tanto la sanità italiana quanto quella tedesca producono ottimi professionisti e non esiste alcun motivo per pendere da una parte piuttosto che dall’altra. Basti dire che Luciano Gattinoni, professore emerito all’Università di Göttingen e uno dei massimi esperti e innovatori a livello mondiale delle ARDS (acute respiratory distress syndrome, che è poi la ragione, con la polmonite interstiziale, per cui si muore di Covid) è un milanese doc.

LA GERMANIA HA FATTO PIÙ TEST DELL’ITALIA

Non sulla base dei dati ufficiali complessivi. Al 13 aprile, sul sito worldometers.info, tra i 10 Paesi al mondo con il maggior numero di contagi, l’Italia risulta al primo posto per numero di test per milione di abitanti con la Germania che la segue a un’incollatura. L’ Italia ne ha fatti più o meno il triplo di francesi e inglesi. Vero è che i tedeschi hanno avuto il tempo per cominciare prima, quando l’ epidemia era ancora in fase iniziale, e in modo più mirato, riuscendo quindi a “fotografare” quasi in tempo reale l’evoluzione della crisi. Cosa che per l’Italia, che ha scoperto di avere il Coronavirus in casa quando ormai galoppava a briglia sciolta da settimane, è stata impossibile.

LA GERMANIA HA CIRCOSCRITTO MEGLIO I FOCOLAI.

Sicuramente sì, e con questo ci ricolleghiamo al discorso di prima. Come dicono i tedeschi stessi, loro hanno avuto la fortuna di identificare il paziente 0 e la catena successiva (compreso il passaggio di una saliera alla mensa della “Webasto”) e da lì sono partiti con una caccia intensa (test-track-treat) e molto efficace. Qui può avere giocato un ruolo importante un’ottima organizzazione, soprattutto molto reattiva, e il fatto che la Germania - se pure all’inizio in modo federale e gli stessi problemi dell’ Italia nel rapporto tra governo e Regioni - ha adottato il lockdown in una fase più precoce dell’epidemia. Possiamo anche immaginare che in Germania abbiano usato il numero comunque cospicuo dei test per delimitare i focolai. Questo però vorrebbe dire che – a differenza degli altri Paesi, che li hanno fatti di regola su pazienti sintomatici – li hanno eseguiti su molti pazienti asintomatici, ampliando la platea e quindi intercettando soggetti positivi al test ma clinicamente poco significativi: questo vorrebbe dire incrementare di molto il denominatore, il che abbassa automaticamente la percentuale di letalità. Insomma, bisogna capire un po’ meglio la situazione.

UN DIVERSO MODO DI CONTARE I DECESSI

Argomento scivoloso. Si è ipotizzato che in Germania si contassero prevalentemente i pazienti morti “per” Covid e non quelli “con” Covid.

Vero è che ci sono differenze di contabilità tra le diverse realtà, anche all’interno dei singoli Länder.

NON HANNO AVUTO MORTI NELLE CASE DI RIPOSO

Situazione fluida, al momento difficilmente quantificabile. Come sopra: è presto per esprimere un giudizio.

IN GERMANIA È STATA COLPITA UNA QUOTA DI POPOLAZIONE PIÙ GIOVANE.

Argomento forte, che si riflette immediatamente sulla letalità del virus. In Germania l’età mediana dei contagiati è di 50 anni, in Italia 62. Qui, per semplificare, possiamo dire che adottando la tabella della mortalità italiana per classi di età, alla mediana prevalente tedesca come asse forte dei contagi, dovrebbe corrispondere una letalità compresa tra lo 0,9 e il 2,5%, spostata un po’ di più sul primo valore. La Germania invece ha il 2,6. L’Italia, dal canto suo, avendo invece una classe mediana più anziana come asse forte dei contagi, dovrebbe avere una mortalità del 9,3%, mentre, dati complessivi alla mano risulta essere del 12,8%. In entrambi i casi (Germania e Italia) abbiamo quindi una letalità leggermente superiore all’atteso utilizzando come riferimento la mediana della popolazione affetta. Resta il fatto che, osservando le tabelle italiane, 12 anni di differenza nella mediana giustificano non più del 50% della differenza nella letalità tra i due Paesi. Se in Germania avessero avuto infatti la distribuzione in classi di età uguale a quella italiana, la letalità sarebbe passata dal 2,5-2,6% attuale al 7,1%, lontana quindi ancora quasi 5 punti da quella italiana. Resta dunque ancora da capire questo gap, a cominciare da un’analisi dalle distorsioni statistiche, che possono essere anche molto importanti a seconda delle diverse strategie di test adottate.

IL CONTAGIO HA VIAGGIATO A DIVERSE VELOCITÀ NEI DUE PAESI.

Altamente verosimile, proprio in virtù delle differenze tra i due Paesi circa le classi di età colpite. In base ai dati Eurostat 2018 esiste infatti un delta di 6 anni tra il momento in cui i giovani italiani escono dal nucleo familiare di appartenenza rispetto a quanto fanno i loro coetanei tedeschi. Inoltre è interessante osservare come la quota di giovani 25-34 che vive ancora con i genitori è del 49,3% in Italia, del 42,8% in Spagna, del 17,3% in Germania e del 6% in Svezia. In questi dati risiedono molte delle ragioni della differente diffusione del contagio nei diversi Paesi.

CI POSSONO ESSERE DELLE DIFFERENZE DI TIPO GENETICO?

Qualcuno ci sta lavorando. Un’equipe dell’Università Humanitas di Milano, guidata da Alberto Mantovani, Rosanna Asselta e Stefano Duga ha trovato tra i pazienti italiani delle varianti particolari di un gene che regola la molecola Tmprss2: una delle porte usate dal virus per entrare nella cellula. Un altra equipe invece, il consorzio Gefacovid, guidata da Antonio Amoroso dell’Università di Torino, ha identificato interessanti differenze nella frequenza di alcuni geni del complesso HLA e dei gruppi sanguigni ABO nei pazienti italiani malati di Covid-19.

COME SI SPIEGA ALLORA L’ALTO NUMERO DI DECESSI IN ITALIA?

Al netto dell'analisi statistica di confronto tra i due Paesi, che non riguarda solo gli elementi che abbiamo analizzato fino a qui, ma anche altre variabili di tipo sociodemografico, ambientali (stress polmonare da smog, soprattutto in Lombardia, allergie, inquinamento da ozono, percentuale di fumatori e via dicendo), la situazione italiana si può spiegare con un’ importante sottostima del numero iniziale dei contagi. Il dato viene estrapolato per proiezione grazie all’analisi dell’unico “sistema chiuso” in cui si è potuto indagare fino in fondo l’effettiva diffusione dell'infezione - tra sintomatici e asintomatici - ovvero il caso della nave da crociera “Diamond Princess”, approdata nel porto di Yokohama il 2 febbraio scorso, in cui tutti tra passeggeri e membri dell’equipaggio sono stati sottoposti al tampone. Rispetto ai dati ufficiali forniti dalla Protezione Civile nella prima decade di marzo circa la diffusione del virus in Italia, utilizzando alcune proiezioni tra cui proprio la “Diamond Princess”, la sottostima dei contagiati è compresa in una forchetta che varia tra il 66,6 e il 98,75%, a seconda del tasso di mortalità che si voglia assumere, a sua volta compreso tra lo 0,2 e il 5%. In pratica: il 25 marzo scorso, a una mese dall'inizio ufficiale dell'epidemia, a fronte di 74.300 casi di contagio ufficiali in Italia, il numero dei contagiati reali si poteva stimare tra i 670.000 e i 3.300.000, inclusi asintomatici e paucisintomatici. Un autentico tsunami che ha sconquassato il sistema sanitario nazionale costringendo ad inseguire in emergenza il virus anziché anticiparlo, come invece hanno potuto fare altri Paesi, tra cui sicuramente Austria e Germania. Oggi si stima verosimilmente in Italia un numero complessivo di contagiati compreso tra i 5 e i 6 milioni. Numeri che possono fare ancora molto male, ma comunque ancora troppo bassi per sperare nell’agognata immunità di gregge, che per essere tale deve arrivare oltre il 65-70% della popolazione, mentre, sulla base di queste proiezioni, il contagio riguarderebbe oggi il 10-15% degli italiani.















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