I 70 ANNI DI ISRAELE»MOSTRA ALLA GALLERIA CIVICA DI BOLZANO

Quando si tratta di ebrei e di Israele occorrerebbe sempre partire dai pregiudizi. Proviamo con antisemitismo o antisionismo? «Proviamo - dice Federico Steinhaus - iniziando a dire che la confusione...


di Paolo Campostrini


Quando si tratta di ebrei e di Israele occorrerebbe sempre partire dai pregiudizi. Proviamo con antisemitismo o antisionismo? «Proviamo - dice Federico Steinhaus - iniziando a dire che la confusione regna sovrana. Parlando di politica, ad esempio, tanti ebrei israeliani sono ad esempio antisionisti, si oppongono al governo in carica a Tel Aviv e magari contestano il neosionismo nei territori. Parlando di aria che tira in Europa invece, tanti che criticano Israele lo fanno mascherando dietro gli attacchi alla politica israeliana un chiaro antisemitismo. In Francia, per dire, pregare in sinagoga è un rischio, vivere da ebrei è pericoloso, si viene picchiati fuori dalle scuole, uccisi per portare una kippah. E quindi le nostre famiglie fuggono, come ai tempi dei nazisti. E dove trovano rifugio se non in Israele?...». Steinhaus è il volto storico della comunità ebraica altoatesina. Studioso, ricercatore, immagine laica di una presenza sempre in prima linea nelle battaglie per la libertà e la tolleranza.

Ha organizzato, accanto al Comune, una mostra che parte oggi (“Israele , 70 anni di storia”, fino al 28 settembre alla Galleria Civica di piazza Domenicani a Bolzano) la quale coglie , nel calendario del Novecento, date importanti. La fondazione, nel ’48 dello Stato di Israele e la promulgazione, in questi giorni di settembre, nel ’38, delle leggi razziali antiebraiche in Italia. E pure un frangente in cui ebrei o israeliani sono costantemente, come gli untori manzoniani, al centro di ogni possibile colpa emergenziale del medio oriente.

Ecco perchè Renzo Caramaschi ha citato David Grossman, grande ( e critico) scrittore israeliano contemporaneo: “Cercavamo in Israele una casa e non la fortezza dei nostri giorni”. A torto o a ragione circondata da nemici che, caso unico nella storia degli Stati, «chiedono la sua cancellazione» ha aggiunto Marcello Malfer presidente dell’ Associazione trentina Italia- Israele (per inciso anche Italia-Israele di Bolzano si prepara ad un cambio della guarda con Claudio Degasperi alla presidenza). Ma Steinhaus si prepara a gettare luce anche in tanti angoli rimasti in penombra nelle vicende della nostra comunità ebraica, quella altoatesina.

Lo farà in un libro, in uscita a gennaio per Raetia, sulla storia degli israeliti tra Bolzano, Merano e il Tirolo. In cui emergono tragedie e successi ma pure l’ evidente e non solo residuale antisemitismo che restò abbarbicato al territorio anche in tempi recenti, fino ed oltre l’ era Magnago.

-Federico Steinhaus, fino a quando?

«Fino a l’ altro ieri, direi».

Esempi?

«Una buona parte del gruppo dirigente, con Magnago Landeshauptmann, era formato da antisemiti. Che lo erano stati anche durante la guerra».

Dunque dentro la Svp?

«Personalità come alcuni non optanti, da Volgger a Ebner me lo confermarono ancora in vita: la Svp aveva proibito ai propri rappresentanti di partecipare a eventi o manifestazioni con la comunità ebraica».

Senza che nessuno si opponesse?

«Nessuno. Era una prassi non scritta. Abbiamo dovuto attendere due meranesi, Helmuth Frasnelli e l’ ex sindaco Franz Alber per arrivare al disgelo. Poi con Luis Durnwalder è cambiato tutto. Anche per un fatto generazionale immagino».

Dunque un clima non certo favorevole alla vostra presenza pure in tempi recenti?

«Assolutamente sì. Scriverò anche di un episodio significativo. Quando venne istituita l’ Heimatbund uno dei primi ospiti che furono chiamati dai loro dirigenti fu Karl Wolff. Si trattava del capo delle Ss in Italia dopo l’ 8 settembre, uno degli organizzatori della deportazione degli ebrei nei Lager. Alloggiò nell’ albergo di Spoegler sul Renon. Era ieri, non l’ altro ieri...».

Ma adesso a Merano c’ è anche un museo ebraico, no?

«Lo dobbiamo a Bruno Hosp, pensi. Io bussavo a tutte le porte per metterlo in piedi. Lui era assessore provinciale competente: lo incontrai e mi disse “bella idea, facciamolo”. Era cambiata l’ aria fortunatamente».

Quanti sono oggi gli ebrei nella comunità altoatesina?

«Una cinquantina».

E quanti erano prima della guerra?

«Più di un migliaio...».

La nostra Shoah in guerra e in pace, dunque.

«E quasi sconosciuta. Qui abbiamo tanti primati, se così posso dire. I primi ebrei deportati in Italia nel ’43 furono meranesi. La prima bimba ebrea nei Lager, bolzanina. Ci sono stati proporzionalmente più delatori qui che in Germania».

Primati meno tragici?

«Beh, quello autonomistico. Parto da lontano: i primi insediamenti, ma di singoli ebrei, in Tirolo datano dal medioevo. Poi, nell’ 800 in un diverso clima, la comunità madre fu istituita vicino a Bregenz, in Austria. Ma molti di loro si trasferirono nel “Tirolo del sud”, tanto che ad un certo punto si accese una disputa tra gli ebrei sul nostro territorio e quelli di Bregenz su chi fossero i più rappresentativi. E Bolzano e Merano allora chiesero l’ autonomia da quelli a nord. E la ottennero dall’ imperatore nel 1840».

Precursori...

«Precursori a tal punto che la prima sinagoga dell’ area venne edificata a Merano nel 1901. Mentre a Innsbruck un luogo di culto nacque dopo, solo nel 1902».

Che però venne distrutto...

«Purtroppo sì. Dai nazisti austriaci nel 1938. I nuovi pogrom, preludio alla Shoah. E a Merano invece nacquero, naturalmente prima dei regimi nazifascisti, un albergo, ristoranti kosher, un sanatorio. E poi i cimiteri. A Merano e a Gries , a Bolzano».

E adesso Israele...

«Con tutte le colpe che si possono attribuire ai governi in carica, si respira un nuovo antisemitismo che si appoggia alle politiche sul campo per delegittimare lo Stato stesso di Israele, l'unico al mondo in cui ebrei possono vivere in pace e sicuri. Ma dove anche gli arabi possono votare, naturalmente, essere eletti ma pure pregare nelle moschee come i cristiani nelle chiese. Con tutti i possibili errori di Tel Aviv. Israele è l’ unico luogo in Medio Oriente in cui questo è possibile. A questo spero possa servire questa mostra. Non a far cambiare idea ma almeno a far riflettere. Le colpe e le ragioni spesso sono confuse e quasi mai stanno da una parte sola. Ma l’ importante è che non si parli più di razze...».

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