La lettera di una studentessa 

Il mio tema d’italiano sulla vita che è cambiata 

Pensieri in libertà sul virus che ci sta cambiando la vitaMalattiaCoronavirus. Una malattia proveniente dalla Cina, probabilmente creata artificialmente. Undici lettere che significano disperazione,...



Pensieri in libertà sul virus che ci sta cambiando la vita

Malattia

Coronavirus. Una malattia proveniente dalla Cina, probabilmente creata artificialmente. Undici lettere che significano disperazione, allarme ed emergenza. Tutte queste espressioni raggruppate in un solo termine. I sintomi di questa terribile malattia sono il mal di gola, la febbre e difficoltà respiratorie, e la più riconoscibile, la tosse. Mi ricordo di come cercavo di evitare i Cinesi o tutti coloro che starnutivano o tossivano nei luoghi pubblici. Forse apparivo scortese o addirittura razzista, ma la mia paura era più grande della preoccupazione per l’offesa altrui.

Proprio ieri mia madre mi ha fatto notare che la quarantena è simile allo stile di vita di un malato. Chi è malato gravemente deve rinunciare a una vita “normale” (anche se la normalità è relativa), ed è limitato in tutto ciò che fa. Sono arrivata alla conclusione che, se fossi malata, probabilmente odierei la mia vita. Infondo, a nessuno piace stare rinchiusi in casa, non avere una vita sociale e poter fare solamente le solite attività tali dormire, mangiare, leggere, studiare e guardare la televisione.

Allarme

L’ annuncio di questa nuova malattia poco conosciuta è stato, dal mio punto di vista, gestito molto male. Mi ricordo come, all’inizio dell’anno gli articoli su quest’ epidemia occupavano tutte le prime pagine dei giornali. Inizialmente me ne preoccupavo poco, pensavo fosse una malattia ancora lontana da noi, ma con la globalizzazione ed il turismo, tutto ormai è globale e ben presto arrivò anche in Italia. Inoltre, ero convinta che fosse soltanto allarmismo e un modo per i giornali e i media di guadagnare. D’altronde, c’era chi diceva che si trattasse di una semplice influenza, chi lo sostiene ancora, e chi, invece, era subito molto allarmato. Non sapevo bene cosa pensare e non volendo darmi alla disperazione, avevo scelto di credere a coloro che parlavano di una nuova specie di influenza, che faceva, a quanto pareva, meno morti dell’influenza “normale”, che abbiamo avuto tutti almeno una volta. Oggi purtroppo sappiamo che non è così; i numeri parlano chiaro: 60.000 contagiati in tutta la penisola, più di 5.000 decessi e fino a 1.000 nuovi contagi ogni giorno. Credo di dire un’ovvietà, quando affermo che l’Italia, come anche il resto del mondo, si trova in un grave stato di emergenza. L’ allarme è stato dato troppo tardi? Non sono state prese le giuste precauzioni? Non si sta gestendo bene l’accaduto? Ci sono abbastanza letti per i malati? No, non ci sono, e mentre i politici cercano qualcuno contro cui puntare il dito (ancora una volta), le borse scendono con una rapidità disarmante, i Bergamaschi muoiono come le mosche, tant’è che nella serata di mercoledì 18 marzo, un corteo di mezzi militari portò le bare dei defunti fuori città, e noi ci ritroviamo chiusi in casa per almeno altri due mesi.

Sospetto

Mi domando se l’arrivo e la diffusione di questa pandemia non furono stati riconosciuti oppure, come ci si può aspettare dai nostri politici, furono semplicemente tenuti nascosti. Abbiamo sottovalutato il virus, l’abbiamo preso sottogamba ed ora sta a tutti noi il dovere di salvarci rimanendo a casa ed evitando, in questo modo, i contatti con gli altri. Parlo soprattutto per i miei coetanei dicendo che, rimanere in uno spazio di scarsi cento metriquadrati tutto il giorno tutti i giorni è molto pesante, è noioso e le attività per far scorrere il tempo più velocemente dopo un po’ finiscono e si impazzisce. Fisicamente ne risento molto della quarantena, ho male ai muscoli, alla schiena e per lo più ho la pressione bassa, in una condizione normale potrei uscire e farmi una corsa, andare all’ allenamento o in palestra, ma non essendo possibile, ogni volta che mi alzo mi si annebbia la vista, ho le vertigini e mi gira la testa e sabato mattina sono addirittura svenuta. Ho esitato a dirlo a mia madre per paura che si arrabbiasse, perché avere la necessità del pronto soccorso o di un medico in questo periodo, si sa, non è proprio il massimo. Anche psicologicamente però, questa non è una situazione facile da affrontare. Da quando sono chiusa in casa mi sento un po’ giù di corda e mi annoio tantissimo.

Isolamento

L’ isolamento di certo non mi aiuta a farmi sentire meglio. Trascorro le mie giornate principalmente in camera mia, una misera stanzetta di neanche dieci metriquadrati; la abbandono soltanto per andare in bagno o in cucina; è un po’ deprimente. A causa della quarantena sono chiusa in casa con i miei genitori, mia sorella e la mia coniglietta; voglio bene a tutti loro, ma spesso diventano un po’ pesanti, soprattutto i miei genitori. Quindi, dopo una discussione o un litigio, non posso nemmeno consolarmi insieme ad un’amica; certo, a volte chiamo le mie amiche in videochiamata o ci scriviamo, ma nessuna di queste soluzioni è paragonabile al vedersi giornalmente, stare insieme e parlare dal vivo. Grazie alla quarantena mi sono resa conto di quanto sia meglio la realtà di quella virtuale. Spesso stavo ore davanti ad uno schermo invece di uscire, ed ora che non posso più mettere piede fuori dalla soglia di casa, capisco di aver commesso un errore. Uscire, stare con gli altri e vivere per davvero hanno un valore enormemente più grande che rimanere a casa davanti al telefono o al computer per nascondersi e scappare dalla realtà quotidiana.

Paura

Non sono esageratamente preoccupata per questa malattia come molti. Certamente la temo e ne conosco il pericolo ed i rischi, ma cerco di mantenere il sangue freddo, tranquillizzandomi vedendo i numeri dei guariti e col fatto di stare a casa; non ci penso costantemente. Tuttavia, domani mia madre dovrebbe accompagnare mia nonna, invalida, a fare le analisi del sangue e a ritirare una prescrizione in ospedale. Non passeranno per il reparto di terapia intensiva, ma il pericolo è comunque grande. Sono davvero preoccupata per loro e se dovesse succedere qualcosa anche “solo” ad una di loro, mi dispiacerebbe tantissimo. Domani mattina costringerò entrambe a mettere le mascherine rigide, dei guanti e degli occhialini da nuoto per non dare la possibilità al virus di trovare due nuove vittime. In realtà, ci sarebbe una soluzione migliore per soddisfare i bisogni di mia nonna: delle infermiere dovrebbero andare a casa sua. Non sarebbe soltanto più comodo, ma anche molto più sicuro. Sfortunatamente però, questo servizio non ha risposto al telefono quando mia madre lo chiamò e come tante altre cose in Italia, non funziona.

Solitudine

La solitudine, per quanto malinconica, spesso fa bene: fa pensare e riflettere. Questo periodo di quarantena non è il mio primo di solitudine, ovviamente. Spesso mi ritrovo da sola, abbandonata e delusa da amici che non erano poi tanto amici, ma va bene così. A volte mi serve stare da sola, raggruppare le idee, ascoltare la musica e pensare al più e al meno. Proprio ieri stavo riflettendo riguardo alla vita, e trovandomi in queste circostanze, anche alla morte. Tutto è relativo: i miei principi, i miei pensieri, le mie preferenze ed infine, la mia esistenza stessa. Esattamente come tutto è passeggero: tutto ha una fine: la vita, la felicità, la sofferenza e questo virus. Scaccio via i pensieri sulla morte, non ci voglio pensare, perché mi rendono triste. Ho pensato tuttavia alla vecchiaia. Potrei raccontare di questo periodo straordinario, non per bellezza ma per diversità, alle future generazioni, magari addirittura ai miei figli e nipoti.

Speranza

Quando si dice che lo sport è come la vita, non si dice tanto per dirlo. In questo caso sto parlando della pallacanestro. In questo sport per vincere bisogna lavorare di squadra, pensando prima agli altri che a sé stessi; bisogna mantenere uno stato mentale sempre positivo, offensivo e determinato. Tuttavia il basket, tra le mille cose che mi ha insegnato, mi ha fatto comprendere che la speranza non serve a nulla. La sola speranza è riservata a chi è destinato a perdere. Quindi, se vogliamo veramente sconfiggere questo tosto nemico, in questo caso il coronavirus, non ci resta altro che “lavorare di squadra” per il bene comune; rimanere a casa per il periodo indicato per ridurre i contagi e, invece di essere soltanto speranzosi, dobbiamo crederci veramente: essere convinti, tutti quanti, che ce la faremo, riusciremo a sconfiggere il nemico, anche se non sarà semplice, anzi: spesso sarà un percorso duro, non vedremo l’ora di “tornare in panchina” arrendendoci e spesso vorremo che non avessimo mai iniziato a combattere, ma, credendoci veramente, tutti e proprio tutti, ce la si fa.

(14 anni, liceo

Classico Carducci)













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