Il politologo Pallaver: «Chi chiede strappi è un demagogo» 

L’intervista. L’alta tensione tra Bolzano e Roma va letta in un’ottica di politica “simbolica” «Pescare nell’armamentario ideologico del conflitto con lo Stato è un gioco pericoloso» Un’idea diversa di specialità: «Autonomia è cogestione e capacità di dialogo tra le istituzioni»


Mauro Fattor


Bolzano. L’Europa si prepara alla fase 2 della pandemia con strategie diversificate anche tra i Paesi che avevano decretato il lockdown a pochi giorni di distanza dall’ Italia. La Francia pensa a un piano nazionale unitario con deroghe territoriali, la Spagna va verso un programma di aperture provinciali scaglionate. Scelte non univoche, comunque. In Francia la data fatidica è l’11 maggio, con bar e ristoranti che potrebbero riaprire a metà giugno, la Spagna ancora non ha deciso, ma l’Andalusia preme per riaprire i negozi l’11 maggio e bar e ristoranti il 25 del mese. Parigi forse vuole riaprire le scuole, Madrid no. Ovunque poche certezze, discussioni molto accese e frizioni tra governi centrali e enti territoriali. Intanto, subito dopo l’ allentamento delle misure di contenimento, in Germania si registra una ripresa dell’ epidemia. Il tasso di contagio è risalito a 1, ovvero ogni persona infetta ne contagia un’altra, e questo sulla base degli ultimi dati diffusi dal Robert Koch Institut di Berlino. A metà aprile, il tasso era sceso allo 0,7 poi la lenta ma costante risalita. Insomma, anche guardando all’Italia e alla discussione di questi giorni sulla “fase 2”, non c’è nulla di veramente diverso da quanto sta accadendo altrove. Se non fosse che in Alto Adige la dialettica - anche aspra - col governo sui tempi di ripresa delle attività economiche, ha assunto modalità che pescano a piene mani nel repertorio politico-ideologico del conflitto tra Bolzano e Roma, tra centralismo e autonomia, tra “normalità” italiana e “specialità” sudtirolese. Con qualche rischio per i delicati equilibri, anche etnici, su cui si regge la società altoatesina. Ne abbiamo parlato con Günther Pallaver, docente di Scienze politiche presso l’Università di Innsbruck, nonchè presidente della Società di Scienze Politiche dell’Alto Adige.

Professore, il governatore Kompatscher ha imboccato la strada della sfida aperta a Conte e di una autonomia “dura” contro il centralismo romano. Come lo valuta?

Autonomia non è solo autogestione. Autonomia significa anche cooperazione, cogestione e soprattutto significa governance, ovvero capacità di inclusione della più ampia platea possibile di attori politici e sociali. Questo processo di inclusione si deve tradurre in primo luogo in capacità di dialogo tra soggetti istituzionali, soprattutto se si tratta di trovare un punto di equilibrio tra salute pubblica ed economia. Fughe in avanti, strappi, guanti di sfida, in una società come quella altoatesina rischiano di innescare meccanismi pericolosamente regressivi. E credo che questo non sia una vantaggio per nessuno.

La spinta a bruciare le tappe però sono forti. Soprattutto da parte del mondo imprenditoriale...

Intendiamoci, le spinte sono legittime, ma chiedere al governatore Kompatscher “più coraggio”, o più decisionismo sapendo benissimo quali sono i margini della sua azione politica e forzando la cornice di regole in cui può esercitarla, è semplice demagogia. O se volete, populismo.

E allora come si spiega questa scelta di attacco frontale al governo da parte della giunta provinciale?

In larga parte si tratta di una politica che potremmo definire “simbolica”. Si cerca di raffreddare o contenere il livello del malcontento sociale facendo ricorso ad un codice evocativo e ad un repertorio ben riconoscibili da parte dell’ elettorato. Nello specifico si tratta poi di un repertorio sempre disponibile. Se da una parte si alza il livello dello scontro politico con Roma, dall’ altra c’è infatti anche questo continuo, quasi ossessivo, riferimento ad Austria e Germania, una cosa che di per sé non ha senso se non letta in un’ottica di rivendicazione di “irriducibile alterità” rispetto al resto del territorio nazionale. Alla fine di questa esibizione di forza magari non si otterrà granchè, o più verosimilmente si arriverà a un ragionevole compromesso, ma quel che conta è che le dinamiche identitarie sono salve, il consenso politico pure e in aggiunta si può scaricare la responsabilitá dell’ eventuale insuccesso su altri. Il tipico caso in cui forma e contenuto tendono a coincidere. Del resto, i decreti di Kompatscher fino ad oggi sono stati piuttosto in linea con quelli di Conte, non ho visto davvero grandi scostamenti.

Dunque è una questione di potere?

Di potere e di dinamiche del potere. In una situazione di crisi come queste le spinte contrapposte sono tante. Dentro la Volkspartei innanzitutto: nei rapporti di forza tra il governatore Kompatscher e il segretario Achammer, nel confronto tra il partito e il mondo dell’economia, nella sfida con l’opposizione di destra che soffia sull’ autonomia totale e sulla secessione.

Cosa accadrà alla fine con Roma?

Penso che una situazione di non belligerenza alla fine convenga a tutti. E poi ogni esecutivo, a qualsiasi livello, ha una margine di discrezionalità che sta nella stessa applicabilità pratica dei decreti. È impossibile controllare tutto e ovunque in modo capillare, dunque una certo margine di libertà esiste sempre. Può anche darsi che Roma faccia solo un gran chiasso senza trarne a sua volta conseguenze di tipo politico. Politica simbolica di Bolzano contro politica simbolica di Roma.

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Altre notizie

Attualità