Joseph Zoderer: «In questa situazione mi sento come Noè» 

Intervista allo scrittore. Da Terento pensieri e riflessioni in tempi (duri) di coronavirus «Può sembrare strano, ma questa condizione di solitudine e di isolamento mi è congeniale» I consigli: «Ascoltare chi sa e soprattutto far tacere chi non sa e magari parla lo stesso»


Paolo Campostrini


Bolzano. «Mi sento come Noè...». Nella sua arca Joseph Zoderer ha portato un cane e un gatto. E poi i libri, gli appunti, il computer e il telefonino . Sta in pace adesso. «Oddio, le notizie sono terribili. Ma ognuno, in questi casi, prova a costruirsi un suo mondo. Lo si fa per sopravvivere». Il mondo, per il più grande scrittore sudtirolese, tradotto in decine di lingue, diventato famoso per un romanzo cult “Die Walsche- L’italiana” , è a Terento. Lì, tra i boschi, c’è il maso dove, d’estate, si rifugia per scrivere. Di solito invece sta a Brunico. In città ha le cose di tutti i giorni, i negozi, gli amici, il ristorante. A Terento ha invece solo le cose importanti. Quelle che, se non ci fossero, non riuscirebbe a vivere. Ad esempio la solitudine. Che per uno scrittore è come l’aria. I suoi animali, i volumi, gli scritti. Noè ha fatto salire sull’arca quello che sarebbe servito al Signore, nella Bibbia, per far ricominciare il mondo. Così Zoderer.

Pensa che si ricomincerà?

Ci conto.

Cosa fa a Terento?

Le cose che più amo. Ad esempio leggo. E poi scrivo qualcosa. Fuori c’è un prato e poi il bosco.

Sa che non si può girare tanto...

Lo so. Faccio due passi qui intorno, quando non piove. Oppure sto seduto fuori. Il sole mi cura bene.

Cosa prova?

Devo proprio dirlo? Perché un po’ mi vergogno..."

Prego.

Beh, a volte provo una grande felicità. Ogni mio romanzo era anche un luogo di solitudine. La scrittura la pretende, non bisogna farsi distrarre. E ogni romanzo, costruito in quella condizione di solitudine, è sempre stato fonte di grande felicità. Intendo, sia scriverlo che la condizione in cui lo facevo. Ecco, in questi giorni avverto questo stato di ebbrezza sottile.

Vuol dire che, anche se uno non è uno scrittore, può ricavare qualcosa da questi giorni di dramma?

Questa in corso è una catastrofe epocale. Prima o poi qualcuno ne scriverà seriamente. Ma penso anche agli aspetti preziosi che sta portando con se, per chi, fortunatamente, non è colpito dal male. Voglio dire: valori dimenticati, la riflessione, il tempo...

Perché dice “dimenticati”?

Siamo stati al culmine di un mondo di ricchezza e benessere, di lusso. Direi di stile. Abbiamo avuto tutto dall’istante in cui siamo venuti al mondo. Magari non io, che ho vissuto con la mia famiglia la guerra e le opzioni, ma tutte le generazioni che sono venute dopo.

Le uniche, in millenni, almeno quelle europee, che non hanno mai visto una guerra, è stato detto, no?

È così. Ecco, tutto questo ci ha fatto pensare di vivere in un mondo sempre in crescita, mai seriamente minacciato. Certo, l’atomica, l'inquinamento... ma sembrava che nulla ci potesse toccare.

Invece...

Invece, eccola l’occasione, in mezzo a tutto questo male fisico, di poter recuperare un po’ di spirito autentico delle cose. Il valore dell’attesa, della lettura, del rapporto con gli altri. Ci accorgiamo bene ora, cosa significhi non riuscire ad abbracciare, non poter vedere, toccare gli altri.

Lei come fa?

Per fortuna c’è il telefono. E tutti gli altri aggeggi tecnologici. Anche per questo mi sento come un re. Ho le mie cose, il prato, e poi anche gli amici. Nella mia condizione non è che sia cambiato molto. Ho sempre avuto rapporti con persone che vivono lontano. E che comunque sentivo spesso non direttamente. Ora, li porto comunque con me anche a Terento.

Come finirà tutto questo?

Immagino che succederà definitivamente qualcosa di bello, per tutti, con un vaccino. Ma molti dicono non prima di alcuni mesi, forse un anno... Nel frattempo io mi sono costruito una cella, come quella dei monaci.

Che visto come la pensa, per lei stavano benone...

Cosa gli mancava? Avevano cibo, libri, natura... Anch’io oggi mi sento un privilegiato e ho un po’ di pudore a confessarlo. Ma leggere è sempre stato la mia vita, i libri i miei compagni. Uno scrittore vive di parole e quando può scriverle o raccontarle, anche a se stesso. O a mia moglie, beh, mi sembra di stare dentro la vita. Anche perchè ho appena ricevuto un messaggio da un amico lontano. Abbiamo parlato, discusso, ci siamo scambiati impressioni. Tra un po’ butterò giù qualcosa negli appunti.

Cosa si può fare per cambiare le cose, fuori?

Bisogna far lavorare i medici, rispettare le leggi. Ascoltare chi sa e far tacere chi non sa. Ma se io non posso, direttamente cambiare le cose, ecco perché mi lascio come cullare dalle ore. Sento passare le giornate. Sto fermo. Come poi dovrebbero fare tutti. Ed è come vivessi una lunga avventura.

Cioè?

Non so che accadrà, non posso far altro che ascoltare in silenzio. Come se stessi guardando un film. Di più: come se ci stessi proprio dentro. Un film comunque molto interessante, perché riguarda la morte, il rapporto che abbiamo con lei, la vita, la possibile rinascita, il dolore e altre questioni molto importanti.

Forse, Joseph Zoderer, detto “Pepìn”, sta pensando già di scriverne.













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