l’intervista

«Le fragilità di Bolzano mi hanno fatto innamorare»

50 anni sulla scena. Il regista, ex direttore del Teatro Stabile ed attualmente consulente del Ministero della Cultura, parla del suo legame con la città: «Sono un sentimentale e ho deciso di stare vicino ad una comunità in via di estinzione»



BOLZANO. Dice di amarla questa città. O meglio questa comunità. «Perché fragile, indifesa, destinata all’estinzione». Proprio come ama il teatro, «unico e irripetibile». Marco Bernardi d’altra parte si definisce «un sentimentale» e credergli non è difficile. Visto che la sua sensibilità lo ha sempre proiettato oltre il primo sguardo, dove sono i particolari a fare la differenza e ad affascinare, proprio come nelle “storie” portate sul palco in una carriera lunga mezzo secolo, che oggi viene giustamente celebrata: l’appuntamento è per le ore 11 al TreviLab, dove sarà presentato il libro “Marco Bernardi. Cinquant’anni di teatro”, scritto da Alessandra Limetti.

Nel frattempo il regista e storico direttore del Teatro Stabile di Bolzano è passato a trovarci in redazione, per aggiungere idealmente un capitolo alla pubblicazione che ne racconta l’attività, iniziata nel novembre del 1973, grazie alla “chiamata” di Maurizio Scaparro, come assistente alla produzione di “Stefano Pelloni detto il Passatore”. «Io volevo fare il regista di cinema - racconta Bernardi - ma Scaparro, che conobbi alla fine del 1972 in una cena a casa, organizzata dai miei genitori, mi convinse a presentarmi in teatro». Ed ecco che qui si apre il “capitolo inedito”, con il suo arrivo nel capoluogo altoatesino.

«Per dire - prosegue - io non ho mai scelto di fare teatro, così come di spostarmi da Trento a Bolzano, eppure...». Eppure è successo, e le cose hanno funzionato. Tanto da creare un legame sottile ma nello stesso tempo solidissimo tra il regista e la nostra città. «Questa è una realtà particolare: o la detesti o ti innamori. E io mi sono innamorato - spiega il nostro ospite -. Di questa città e della comunità italiana che popola questa provincia, una comunità in via di estinzione. In fondo io sono un sentimentale e non potevo rimanere indifferente a tale fragilità. Ho avuto la possibilità di andarmene, ma alla fine sono rimasto.

La mia residenza non è cambiata, anche quando il lavoro mi ha portato altrove. Bolzano è il punto di ritorno, direi la città più bella al mondo dove poter tornare». Marco Bernardi, che nel corso della sua carriera ha diretto 63 spettacoli di prosa e di teatro musicale in Italia e all’estero, è stato alla guida del Teatro Stabile di Bolzano dal 1980 fino al 2015; una parentesi lunghissima, in cui sentirsi parte di una metamorfosi.

«Fisicamente oggi questa città ha un’altra faccia. Sono arrivati il nuovo teatro, il Museion, l’Auditorium, l’Università - racconta il regista -. Ma è mutata anche la periferia. La zona industriale, ad esempio, che ho imparato a conoscere approfonditamente durante il periodo della pandemia, quando giocavo a tennis contro i muri, è un mondo in continua trasformazione e molto interessante». Ed il teatro di Bernardi ha accompagnato questo processo: «abbiamo messo uno specchio sul palco rivolto verso il pubblico; ho cercato di dare un contributo per la costruzione di un’identità della comunità, cresciuta senza un dialetto, senza una forma parlata d’incontro. Come si riesce in questa operazione? Convincendo i drammaturghi a parlarne. Così sono nati spettacoli come “Lager”, “Viale Europa” o ancora “Acciaierie”. E abbiamo creato anche il “Premio Bolzano Teatro”, utile a dare ulteriore slancio in tal senso».

E se non è amore questo. Un amore che continua, anche ora che Marco Bernardi è impegnato in giro per l’Italia come consulente per il Ministero della Cultura. «È vedendo molte altre realtà sul territorio che capisci la qualità della proposta bolzanina - conclude Bernardi -. Dove la lungimiranza non è mai mancata, con istituzioni come lo Stabile, nato nel 1950, o la Haydn, attiva dal 1960, che rendono città e provincia un luogo speciale da tempi non sospetti. Sta a noi tentare di salvaguardare questa unicità e di promuoverla al meglio».
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