IL LIBRO

Lonely boy, vita solitaria di un Sex Pistol



Ogni tanto in questa rubrica segnaliamo libri musicali. È il caso di  “Lonely Boy” (Uk, 2017, in Italia uscito per Salani nel 2021) di Steve Jones, chitarrista dei Sex Pistols. Se lo si mette vicino alla prima biografia di Jonnhy Rotten/Lydon “No Irish, No Blacks, No Dogs” (pubblicata nel lontano 1994, e poi più volte ristampata), si capisce perché la band di “Anarchy in the UK” è stata e rimarrà nella storia la vera matrice del punk, con buona pace degli altri. I Clash, certo, hanno prodotto di più, la loro opera è nel complesso più interessante, politicizzata, musicalmente varia di quella dei Sex Pistols. Mentre i Ramones erano più divertenti. Ma se il punk è stato, almeno in origine, l’espressione della rabbia del ragazzo bianco inglese, proveniente dalle fila del sottoproletariato, senza un futuro davanti a sé, allora non c’è storia, e il libro di Jones lo chiarisce in maniera molto diretta, ruvida e, qui e là non priva di humor. Jones e Lydon hanno origini simili, ma con una differenza: Lydon aveva comunque alle spalle una famiglia. Irlandese, quindi marginalizzata a priori nella Londra dove si poteva leggere, fuori dai locali pubblici: “Vietato l’ingresso a irlandesi, neri e cani”. Ma pur sempre una famiglia, a suo modo affettuosa.

Jones, no. Il padre l’abbandona subito, e la madre presto si mette con un uomo che, oltre a disprezzarlo platealmente, lo molesta sul piano sessuale. Altre molestie gli arriveranno da parte di un pedofilo del quartiere – siamo nelle strade di Hammersmith e Sheperd’s Bush – mentre la scuola sarà tutt’altro che un’ancora di salvezza, per lui. Jones in queste pagine confessa le sue precoci difficoltà con la lettura e la scrittura e dichiara che oggi sarebbe stato probabilmente classificato dislessico, ma all’epoca non si andava tanto per il sottile, soprattutto con gli studenti di ceto sociale basso. Proprio un “lonely boy”, un ragazzo solo.

Il riscatto è arrivato dalla musica. Il primo brano a conquistarlo è “Purple Haze” di Jimi Hendrix, e infatti Jones stesso diventerà un chitarrista, anche se di tipo molto più “basico”, studiando compulsivamente lo strumento grazie alle anfetamine consigliategli da Malcom Mc Laren. Il resto è noto: la fascinazione per il glam rock, Kings Road, l’incontro con McLaren, appunto, e con Vivienne Westwood, la formazione del gruppo, la registrazione di “Never Mind the Bollocks”, perfetta sintesi del nichilismo di quella stagione. Il successo. Se gli Stooges, una decina di anni prima, nella fumigante Detroit, avevano cantano “No Fun”, i Sex Pistols, nel 1977, rispondono da Londra “No Future”. Ma la vita di Jones è stata segnata anche da altre cose. Dipendenze, ad esempio. Dai furti, una passione che non l’ha mai del tutto abbandonato, dal sesso usa-e-getta. E poi quelle classiche delle rockstar, alcol e droghe. La resurrezione, stranamente, è iniziata in quella Los Angeles che di solito è sinonimo di tutt’altro (nonostante gli angeli) e dove vive anche oggi. Dal libro, scritto assieme a Ben Thompson, è stata tratta la serie tv “Pistols”, diretta da Danny Boyle. Che ovviamente John Lydon ha schifato.

 













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