«Mi piace spiegare come un’idea diventa un oggetto»

L’artista originaria di Brunico alla Galleria di Casciaro In mostra il percorso mentale che si trasforma in creazione


di Corinna Conci


di Corinna Conci

Fino al 29 aprile sarà possibile visitare la mostra “On the Process of Shaping an Idea into Form through Mental Modelling” di Sissa Micheli alla Galleria Alessandro Casciaro. L’artista residente a Vienna e originaria di Brunico indaga il processo che trasforma l’idea in opera concreta. La mostra presenta il percorso mentale del pensiero che si traduce nella creazione visibile. L’artista sceglie indumenti lanciati nell’aria per creare figure sempre nuove e imprevedibili, effimere e quindi preziose. La bellezza della casualità viene svelata attraverso la fotografia che riesce a fissare l’elemento sculturale del movimento, per creare l’opera d’arte finale. Abbiamo approfondito con Sissa Micheli i temi delle sue opere.

La mostra inizia con alcune immagini del film “The Big Swallow“ del 1901 di James Williamson, che rappresentano il superamento della fotografia da parte della pellicola cinematografica. Perché la scelta di questa scena per aprire il percorso espositivo?

«Durante la mia residenza d’artista nella East End di Londra mi sono dedicata alla lettura della teoria fotografica e della filosofia. In quel periodo ho visitato diverse mostre d’arte e tra queste la mostra in corso alla Whitechapel Gallery. Nella collezione permanente mi ha subito catturato il film di Williamson perché il rapporto di confine tra fotografia e film è da sempre uno dei miei temi principali. Nel film satirico viene mostrato un dettaglio della bocca del protagonista, nell’atto di ingoiare un fotografo con la sua macchina fotografica su tutto lo schermo. Anni fa alcuni intellettuali ad Arles in Francia erano convinti che la fotografia fosse “minor art”, arte minore in confronto al cinema. Ho voluto prendere spunto da questo film per sviluppare una mia mostra attorno all’interfaccia tra fotografia e film, tra l’istante e la durata. Ho cercato un contrasto tra i due medium, facendone risaltare le rispettive qualità. Inoltre, di mio interesse è stato anche mettere in evidenza lo sviluppo che hanno fatto la fotografia ed il film/video nell’ultimo secolo».

Nel testo che accompagna la sua opera lei dichiara “l'indumento diventa il corpo di un'idea transitoria” descrivendo il pensiero che prende una forma tangibile. Perché la scelta di tessuti indossabili/oggetti come soggetti?

«Partendo da una riflessione sulla realizzazione di idee artistiche ho scritto un testo filosofico basandomi sul “mental model” di Steven Shore e sulle teorie di Jules Deleuze e Slavoj Zizek. Ho cercato di trovare una metafora che potesse tradurre quest’idea. Ho ripetutamente lanciato indumenti nell’inquadratura della macchina da presa intenta a riprendere il loro breve volo e ho fermato l’immagine in movimento scattando una foto. Ho voluto trovare un materiale che cambiasse forma mentre era in fase di sospensione per creare una continuazione dei miei lavori precedenti. Con gli indumenti sospesi nell’aria sono riuscita a creare delle forme inconsuete e irrepetibili. L’ indumento diventa, per così dire, una scultura straordinaria, indefinibile, il corpo di un’ idea transitoria. Inoltre, i tessuti da indossare hanno sempre svolto un ruolo nella mia arte, esprimendo una certa identità sociale. A Londra ho abitato in un ex quartiere tessile, in un contesto di fabbriche di tessuti: ho così preferito acquistare degli indumenti leggeri direttamente sul posto e prodotti nei paesi postcoloniali, fotografandoli davanti a sfondi industriali tipicamente londinesi. La mia voce fuoricampo accompagna il volo dei tessuti filmati facendo una riflessione sul rapporto tra immagini in movimento e fermo immagine, calcolo e caso. Differenti elementi, come la forza di gravità, l’ accelerazione, la resistenza dell’ aria, hanno condizionato la loro forma».

Entrati in Galleria si nota l’ intervento sull’ architettura dello spazio, attraverso la pittura in color carne di alcune porzioni delle pareti. Perché questa scelta?

«Ho voluto far risaltare le opere in sospensione collegando il soffitto e il pavimento, con due triangoli color carne che puntano uno in alto e l’altro in basso. Questo colore rappresenta la persona nascosta dietro i pensieri e gli indumenti. L’intervento è specificamente adattato alla galleria, uno spazio molto lungo, profondo ed alto».

L’ installazione “I Want to be a Helicopter” è un progetto a parte che parla di un’identità diversa oltre l'apparenza, un concetto inerente a quello della mostra.

«Si tratta di una scarpa di donna nera a punta, fissata su un cavalletto fotografico con all’interno delle eliche di elicottero: una scarpa elicottero insomma! Anche in questo caso, faccio uso di un indumento femminile trasformandolo e facendo riferimento alla metamorfosi. A differenza degli altri lavori, che cambiano forma grazie al loro carattere tessile, questo oggetto funziona tramite la composizione di oggetti trovati, ispirandomi a Duchamp e Meret Oppenheim. Anche questo mio lavoro si collega all’ idea di volo, di sospensione e quindi di cambiamento in chiave ironica. Qui conta la forza del pensiero».













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