IL LIBRO

Napoleone è “nato” sull’Adige 

IIl generale dei Carabinieri Andrea Rispoli nel suo libro “Rivoli la nascita di un condottiero” ripercorre la fasi cruciali della battaglia contro  gli austriaci che ha reso grande Bonaparte. E che diede una spinta decisiva ai sentimenti di unità nazionale che sfoceranno nel Risorgimento


Luca Fregona


Bolzano. Da soldato a soldato. È un omaggio appassionato, ricco di dettagli, aneddoti, citazioni, il libro del generale Andrea Rispoli, “Rivoli, la nascita di un condottiero” (Editore Laurus Robuffo) dedicato a Napoleone Bonaparte. Rispoli, meranese, attualmente comandante del Comando Carabinieri Ministero Affari Esteri, ripercorre la storica battaglia che il 14 e 15 gennaio 1797, consacra il generale corso (comandante in capo dell’Armata d’Italia a soli 27 anni), come un eccezionale stratega, dall’intuito straordinario, capace di cambiare le sorti di una battaglia con decisione tattiche rapide e innovative. Una guerra, quella combattuta contro l’Armata Sarda a l’Austria, che arriverà alle porte del Tirolo storico, puntando poi dritto verso Vienna.

Sono passati oltre 200 anni, le tecnologie, le armi, le strategie sono cambiate, ma, sottolinea Rispoli, alcuni elementi introdotti da Bonaparte nella “Prima campagna d’Italia” (che diede il là “alla sua straordinaria parabola politico-militare”), sono ancora estremamente attuali.

Primo fra tutti, la capacità individuare il punto debole del nemico. Poi la scelta di uomini capaci di guidare divisioni, battaglioni e brigate. Luogotenenti giovani, temerari e ambiziosi come Barthélemy Joubert, o di provata esperienza come il nizzardo Andrea Massena.

Napoleone era un tenace sostenitore della meritocrazia, promuoveva sul campo i più capaci senza distinzioni di ceto e provenienza. Diceva, sottolinea Rispoli, “ogni soldato francese porta nel suo zaino il bastone di maresciallo”. Un atteggiamento anti classista che lo poneva in rapporto diretto con i soldati.

E ancora: l’uso delle informazioni, dell’intelligence, delle spie per conoscere le mosse dell’avversario in anticipo; una rete efficientissima di aiutanti e staffette per accelerare la comunicazione degli ordini ai comandanti, e, quindi, l’azione. «Fu - continua Rispoli - un precursore della guerra lampo con cent’anni di anticipo». Quando la Francia rivoluzionaria, minacciata dalle monarchie, Inghilterra in primis, introduce la leva obbligatoria, Napoleone è il primo a coniugare l’innovazione politica all’azione militare. I soldati combattevano per una ragione più alta. Non erano più mercenari al soldo di re e principi. Questa adesione totale, porterà le armate del “piccolo caporale” in tutta Europa, con uno spirito di sacrificio e di corpo fuori dal comune. Un esercito motivato e patriottico, evidenzia Rispoli, convinto dei valori della Rivoluzione, affascinato dal carisma di Bonaparte. I fanti di Napoleone erano capaci di percorrere fino a 30 chilometri al giorni (i legionari romani ne facevano 25), e avere ancora la forza di combattere.

L’estrema mobilità delle truppe fu una delle chiavi del suo successo nella Prima campagna d'Italia. Napoleone introdusse anche importanti innovazioni nella logistica: muovere un esercito comporta la necessità di reperire viveri a sufficienza per tenere gli uomini ben nutriti e sani. Pretese per i suoi soldati due paia di scarponi, la “benzina” della fanteria, “perché si sfasciano ogni mille chilometri”. «Spesso diceva che la più importante virtù di un soldato è la capacità di resistere alla fatica e alle privazioni. Il coraggio per lui era una virtù secondaria».

Francese per caso

Da soldato a soldato, Rispoli ripercorre anche la carriera militare e la biografia del condottiero, francese per caso, nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769, un anno dopo che la Repubblica di Genova aveva ceduto la Corsica alla Francia. Italianissimo, figlio dell’avvocato d’origine toscana Carlo Buonaparte (la “u” poi verrà tolta per francesizzare cognome) e di Maria Letizia Ramolino, discendente da nobili toscani e lombardi, viene mandato in Francia ancora bambino ad apprendere i rudimenti dell’arte militare. Non ancora ventenne, aderisce alla causa indipendentista corsa, ma poi, dopo il 1789, respira a pieni polmoni l vento inebriante della rivoluzione ed entra nei ranghi dell’esercito repubblicano. Nel 1796, dopo un importante successo sugli inglesi a Tolone, viene spedito sul fronte italiano, considerato a Parigi di importanza minore rispetto a quello del Reno. L’avanzata dell’Armata d’Italia, sotto la mano accentratrice e geniale di Bonaparte, è devastatane. Inanella una serie incredibile di vittorie: Montenotte nell’aprile del 1796, poi Lodi, Lonato, Castiglione, Bassano e Arcole. Spazza via piemontesi e austriaci, arriva fino a Verona. Porta con sé l’aria innovatrice della Rivoluzione, gli ideali di uguaglianza e indipendenza nazionale. Attira come una calamita le avanguardie politiche e militari che sognano un’Italia unita. Tra loro anche Ugo Foscolo, che scriverà la famosa ode “A Bonaparte liberatore ”. Il 7 gennaio 1797, sette giorni prima di Rivoli, le città di Modena, Bologna e Ferrara fondano la Repubblica Cisalpina, filofrancese, che per prima adotterà il tricolore verde, bianco e rosso ma a strisce orizzontali. «La Rivoluzione francese e poi Napoleone costituiscono degli acceleratori senza precedenti della storia», rileva Rispoli. Nella prefazione, Armando Laurus Robuffo sottolinea come la calata del generale in Italia sia “una pagina importante della nostra storia nazionale dalla quale nasceranno sentimenti e ideali che confluiranno in modo decisivo nel processo risorgimentale”.

Bonaparte penetra in Veneto, segnando il destino della Repubblica di Venezia, fossilizzata nel “neutralismo” filo austriaco di quello che sarà l’ultimo Doge, Ludovico Manin. Resta però il nodo di Mantova, che gli austriaci tengono tenacemente nonostante l’assedio francese. In questo contesto di scontro tra super potenze, tra nuovo e vecchio mondo, si giocherà una delle partite più importanti di tutta l’era napoleonica: la battaglia di Rivoli.

La battaglia decisiva

È il gennaio del 1797: Napoleone è acquartierato a Verona. Gli austriaci, per tenere Mantova, considerata un presidio fondamentale per non perdere definitivamente l’Italia settentrionale, stanno mandando truppe da nord, dal Tirolo, e da est, da Friuli e Veneto. Napoleone non sa ancora quale sarà il fronte principale. Schiera le sue divisioni a protezione di entrambi i fianchi. Rispetto agli austriaci ha meno uomini, circa 35 mila contro 45 mila: deve ottenere informazioni precise e in tempo per spostare le truppe da una parte all’altra. Rispoli, con uno stile narrativo incalzante, accessibile anche ai non addetti ai lavori, racconta la battaglia ora per ora. L’estrema pressione sul generale, che combatte a fianco dei suoi soldati. Bonaparte non perde mai la lucidità. È un capo in grado di ribaltare in ogni momento una decisione già presa. Grazie ad una spia doppiogiochista, viene e sapere che il contingente più numeroso è quello da nord: sono i 40 mila uomini al comando del generale Jospeh Alvinczy, un fior di soldato. La fanteria austriaca sta scendendo dai crinali montuosi lungo l’Adige per cogliere di sorpresa i francesi. L’artiglieria sta invece avanzando nel fondovalle sulla strada postale che da Trento corre verso Rovereto. La sera del 13 gennaio Napoleone vede i fuochi accesi sui monti dai soldati austriaci. Fa un calcolo a spanne del numero. Ormai è certo: per vincere, bisogna concentrare le forze sul pianoro di Rivoli Veronese e impedire all’artiglieria austriaca di riunirsi agli altri reparti.

«Rivoli - spiega Rispoli - era un centro strategico per il controllo della viabilità terrestre e fluviale della zona, posizionato allo sbocco della Val d’Adige».

Gli scontri iniziano all’alba del 14 gennaio. Il generale Joubert riesce a sfondare le linee. Il fronte austriaco, senza cannoni, è spezzato in due. I combattimenti proseguono anche il giorno dopo. Un colpo dell’artiglieria francese fa saltare in aria due carri di munizioni seminando il panico tra gli austriaci, la cavalleria del generale Lasalle spazza via i fanti in fuga. Alvinczy perde quasi 15 mila uomini tra morti, feriti e prigionieri. Napoleone ha stravinto. Ha umiliato il nemico. La piana di fronte a Rivoli, quella dell’ultimo assalto francese, bagnata dal sangue, prenderà il nome di “Campo della morte”. «La conduzione della battaglia di Rivoli - scrive Rispoli -rappresenta al meglio l’approccio tattico di Bonaparte e coglie la sua straordinaria, forse innata, capacità di intuire da pochi indizi l’evoluzione futura degli eventi». Tant’è che viene ancora studiata nelle scuole militari e dagli eserciti di tutto il mondo: un caposaldo dell’arte del comando.

La fine di Venezia

Le conseguenze geopolitiche della battaglia di Rivoli sono impressionanti. Un domino che cambierà i confini dell’epoca, tracciati ancora col righello sulle carte topografiche dalle potenze vincitrici. Il 20 febbraio cade Mantova, l’ultimo baluardo austriaco. Il Direttorio ormai ha capito che il fronte vero è quello italiano. Napoleone punta deciso su Vienna: lui attraverso il Friuli. Il fedelissimo Joubert dal Tirolo, dove troverà la tenace resistenza degli Schützen in Val Passiria. L’Austria sconfitta tratta la resa che verrà ratificata dal Tratto di Campoformio, alle porte di Udine, il 17 ottobre 1797, firmato da Napoleone in persona. La Repubblica di Venezia non esiste più: la città dei Doge passa all’Arciducato d’Austria, insieme all'Istria e alla Dalmazia, cosa che delude e fa infuriare Foscolo. Alla Francia vanno tutte le isole Ionie. Foscolo non nasconderà la rabbia anche per il destino della sua Zante (insieme a Corfù e Cefalonia). Ma Napoleone ormai pensa in grande. Da tempo agisce di testa propria, ignorando spesso le indicazioni del Direttorio. Un’autonomia politicia e militare, che lo porterà nel 1804 a farsi incoronare imperatore nella cattedrale di Notre-Dame. Non è più il rivoluzionario di un tempo, ma un uomo solo al comando, accecato dal sogno imperiale. Condurrà i suoi uomini nella disastrosa campagna di Russia e poi a Waterloo.

A “imperituro” ricordo della vittoria di Rivoli e della gloria del generale di Ajaccio, nel 1806 sul campo di battaglia venne eretto un monumento alto venti metri, regolarmente fatto saltare dagli austriaci nel 1814 dopo la caduta del Regno d’Italia. I marmi vennero cinicamente utilizzati dai signori del posto per i pavimenti delle loro ville. La gloria, si sa, è un bene effimero. Oggi lì accanto passa l’A22. Da segnalare la bibliografia in calce al libro, e il riferimento alle opere che raffigurano Napoleone. “La nascita di un condottiero” porta insormontabilmente a volerne sapere di più. Cosa che riesce solo a un buon libro.













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