Neve,neve,neve: «Ecco cosa accade a cervi e caprioli»
L’intervista. Parla Luca Pedrotti, responsabile scientifico del Parco Nazionale dello Stelvio Le strategie per sopravvivere in condizioni eccezionali, come quelle di questi giorni L’appello a chi fa outdoor: «Non stressate gli animali avvicinandovi, non costringeteli a fuggire»
Bolzano. Tanta neve. Tantissima. Situazioni meteo con precipitazioni intense come accaduto in questi giorni non hanno solo ricadute sui trasporti, sulla viabilità, sulle attività economiche e sulla vita delle persone. Esiste un mondo, là fuori, oltre le ultime luci dei centri abitati, dove la stagione fredda è comunque una questione di vita o di morte. Inverni come questo, con la neve che arriva fino al collo, rendono solo tutto dannatamente più duro e complicato. E così, in questi giorni, in particolare per cervi e caprioli inizia una difficile battaglia per la sopravvivenza. Ne abbiamo parlato con Luca Pedrotti, coordinatore scientifico del Parco Nazionale dello Stelvio e tra i migliori specialisti italiani di ungulati.
Nevicate che non finiscono mai. Come reagiscono in queste situazioni cervi e caprioli. Cosa fanno?
Non fanno niente. Si cercano un posto nel fitto del bosco, dove magari ci sia anche qualcosa da mangiare e si muovono il meno possibile, almeno per i primi giorni. Finchè la neve non si assesta, i movimenti sono difficili e dispendiosi, quindi si tende più a scendere che a salire…
Qual è la logica?
La logica è quella del massimo risparmio. In condizioni di neve alta il saldo energetico è talmente negativo che conviene non muoversi. Il movimento si tradurrebbe infatti in un consumo netto. In altri termini: se mi sposto per cercare cibo, quello che mi costa farlo in condizioni di neve alta è talmente oneroso in termini energetici rispetto alle possibilità di reintegro, che mi conviene stare fermo e non mangiare o mangiare quel poco, anche di pessima qualità, che trovo attorno a me. Poi è chiaro che questo posso farlo per qualche giorno, una settimana, poi devo comunque cercare di darmi da fare per racimolare il minimo indispensabile.
Ma questo vale solo in condizioni eccezionali come quelle di questi giorni?
Sì e no. Sì, perchè in questi giorni questo tipo di comportamento diventa macroscopico, e no perchè in condizioni di neve non eccessiva gli spostamenti sono comunque ridotti più semplicemente perché le aree con buone condizioni di sverno (cibo, poca neve, comfort termico) sono più piccole e concentrate. Comunque la riduzione della quantità di movimento in inverno in funzione della ridotta disponibilità di cibo, è una regola generale.
Quanta neve deve cadere per mettere in crisi cervi e caprioli?
Tra le due specie ci sono differenze morfologiche e di taglia significative, dunque è diverso anche il “punto di crisi”, chiamiamolo così, delle due specie. Per i caprioli arriva con 40-50 centimetri di neve mentri i cervi, che sono nettamente più grandi e robusti, se la cavano ancora bene quando la neve arriva a 60-70 centrimetri. Oltre, sono guai anche per loro.
Perchè è così importante questo discorso del risparmio energetico? In fondo gli ungulati riescono a mangiare anche d’inverno. Le energie spese vengono in qualche modo reintegrate, anche se con difficoltà...
No, non è così. L’alimentazione invernale è sempre a saldo negativo, se proprio va di lusso si arriva in pari. Gli animali arrivano a primavera solo grazie al grasso accumulato durante i mesi estivi e autunnali. Diciamo che, a monte, è la qualità di come hanno passato l’estate e la qualità di come si sono alimentati a determinare in primis le capacità di sopravvivenza in inverno. Poi, è chiaro, se nevica poco, ce la fanno tutti, se nevica molto i più deboli sono i primi a pagarne le conseguenze. Cervi e caprioli viaggiano in riserva tutto l’inverno in attesa di poter fare nuovamente il pieno, e questo accade da aprile in avanti. Se però nevica così tanto e a lungo, il rischio è che la benzina finisca prima di poter fare rifornimento. Da questo punto di vista, fanno meno danni le grandi nevicate di inizio inverno che quelle di marzo. In questo momento dell'anno infatti tutti hanno ancora in corpo un po’ di carburante, mentre a marzo sono quasi a secco. Certo, se il meteo non aiuterà nelle prossime settimane, molti a primavera non ci arriveranno proprio. La benzina finirà molto prima.
Avrebbe senso, considerate le condizioni di eccezionalità, pensare ad un aiuto esterno? Al foraggiamento?
Dipende dagli obiettivi che uno si pone. Dentro un’area protetta, a mio parere no. Sarebbe sbagliato. L’inverno è e resta un fattore di selezione. Fuori dalle aree protette, ci sono opinioni molto discordanti. Se il mio obiettivo è poter continuare nella regolare attività di prelievo, dunque non voglio riduzioni eccessive di densità e di taglia, allora uno potrebbe anche decidere di foraggiare. Attenzione però: questo significa foraggiare per tutta la stagione, in modo regolare. Oltretutto parliamo di costi nell’ordine delle decine di migliaia di euro.
Non si può foraggiare in modo estemporaneo?
Lasciare qualche balla di fieno qua e là, in modo del tutto occasionale, non ha alcun senso. Quando ci si accorge che gli animali hanno fame, in genere è già troppo tardi. Il digiuno prolungato porta alla morte della comunità di microrganismi artefici della fermentazione e digestione della fibra grezza nel rumine. Il risultato è che gli animali più affamati e stremati potranno arrivare forse ad alimentarsi artificialmente con l’unico risultato di morire a pancia piena. Non un granché.
In condizioni di neve eccezionali come queste di fine dicembre, andrebbe sospesa l'attività venatoria?
A mio parere può essere una scelta percorribile e di buon senso anche per il mondo venatorio. Anche la caccia, come quasiasi altra attività outdoor in questo momento, per i selvatici può tradursi in un importante fattore di stress. Gli animali non ne hanno bisogno. Se vogliamo fare qualcosa di utile per cervi e caprioli, lasciamoli in pace. Evitiamo di avvicinarli, soprattutto evitiamo di metterli in condizione di dover fuggire. La fuga in mezzo alla neve alta richiede un enorme dispendio di energie. Mi appello soprattutto a scialpinisti, ciaspolatori, escursionisti, fondisti: siate rispettosi. Tenetevi alla larga.
Riduzione del movimento a parte, ci sono altri adattamenti specifici, magari fisiologici, che cervi e caprioli mettono in atto per passare la stagione fredda?
Sì certo. C’è un generale abbassamento del metabolismo basale con riduzione del battito cardiaco, che significa ovviamente, anche in questo caso, minore consumo di energia; e poi una riduzione del battito cardiaco e una diminuzione di temperatura delle parti più esterne. Se infatti proteggo la funzionalità dei miei organi vitali all'interno di un “involucro” più freddo, riduco lo sbalzo termico tra dentro e fuori, il che all’atto pratico si traduce in minore dispersione di calore. è un meccanismo adattativo straordinario. Estremamente raffinato.
Nel 2008 ci fu un’altra eccezionale nevicata, che tutti ricordano. Quale fu il bilancio a fine stagione per cervi e caprioli?
Come Stelvio abbiamo i dati puntuali relativi alla Val di Sole. Parlano da soli: 489 carcasse dentro l’area del parco nazionale, che arrivavano a 771 considerando l’intera Val di Sole per una stima complessiva di un migliaio di animali morti di inedia e fame in quell’inverno. Questo significava una perdita del 30% dell’intera popolazione, che durante la stagione estiva era stimata in circa 3200 individui, e percentualmente un po’ più maschi che femmine. Avevamo poi stimato una perdita nell'ordine del 50-60% dei piccoli dell’anno con ripercussioni sulla fertilità e sulle nascite nei due anni successivi. Questo, almeno per il 2009, sia per la perdita diretta del feto sia per il mancato raggiungimento della massa corporea che consente alle femmine idi andare in estro. Al di sotto di una certa soglia infatti non c’è neanche ovulazione. È una sorta di meccanismo di salvaguardia.
Quanti sono oggi i cervi in quella stessa area?
Circa 2600. Ci sono stati altri tre inverni che hanno picchiato duro...
Cosa fate con le carcasse degli animali morti?
Nei limiti del possibile le lasciamo dove sono. Rappresentano una importante fonte di proteine per tanti animali: piccoli e grandi predatori, avvoltoi, aquile, corvidi. In natura non si butta via niente, soprattutto a fine inverno. Vengono rimosse solo se sono a ridosso di insediamenti o rappresentano in qualche modo un fattore di rischio sanitario o di disturbo. Ma questa regola vale per il parco. Non tutti adottano questa prassi.