La lettera

Stromboli: la fiction tv e l'isola violata

Sulla Rai sta andando in onda “Sempre al tuo fianco”, una fiction dedicata alla Protezione Civile. Il paradosso è che, girandola sull’isola di Stromboli nel ’22, la troupe ha provocato un gigantesco incendio che ha mandato in fumo cinque ettari di macchia mediterranea. Qui sotto, Alberto Sulligi, scrittore, architetto e ingegnere bolzanino, da anni residente sull’isola, e Stefano Sulligi, naturalista residente a Stromboli, fanno parlare Iddu, e cioè: il vulcano. 


Alberto Sulligi e Stefano Sulligi


Coloro che abitano sulle mie pendici vicino al mare mi chiamano Iddu. Gli altri, e quelli che hanno incendiato il mio vestito verde, mi chiamano il vulcano di Stromboli.  Era una giornata di Scirocco quando, per girare una fiction sulla protezione civile, il regista fece accendere un fuoco sul set.

Non ho mai visto una fiction, ma mi hanno spiegato che gli umani guardano su uno schermo scene di vita che sembrano vere, e il protagonista di una di queste scene sono io.  Anche i cuccioli degli umani di qui sanno che nelle giornate di Scirocco non si accende neanche un focherello.  Naturalmente ho visto tutto e non ho capito perché non erano pronti l’acqua e gli estintori per spegnere un eventuale incendio.

Avevo un vestito di piante dalle molteplici sfumature di verde e punteggiato tutto l’anno dai colori di innumerevoli fiori, tra cui molti di specie a cui sono affezionato da ben prima che arrivassero gli umani, come il Citiso delle Eolie (Cytisus eolicus) e la Centaurea delle Eolie (Centaurea aeolica).  Adesso che i miei vestiti sono bruciati le piogge mi hanno sottoposto ad una cura dimagrante.  La mia protezione di terra è scivolata in mare, non era più trattenuta dai miei vestiti di antica sartoria della casa di moda Natura sive Natura, come direbbe il mio amico Baruch Spinoza.

Era una veste a cui ero affezionato, intessuta con i rami e le radici di Lecci (Quercus ilex), Ginestre del Tirreno (Genista tyrrhena, un’altra vecchia amica) e Ulivi (Olea europaea) , portati qui dagli avi dei miei amici umani, che considero come dei figli. Loro avevano costruito su di me dei terrazzamenti per trattenere il mio suolo e le preziose acque piovane, per mantenere le sfumature dei miei vestiti : non si perdevano nella corsa verso il mare. 

Purtroppo oggi molti di quei terrazzamenti sono franati.

Alcuni dei giovani che vivono qui vorrebbero ricostruire almeno quelli più vicini al paese e coltivare ancora le mie vesti, mi auguro che ci riescano.

Intanto l’Atelier procede con i suoi tempi lenti, ma efficaci. Per ora mi ha fornito come rivestimento le canne (Saccharum spontaneum varietà aegyptiacum), non quelle da fumare, che le mie fumate un po’ nere le faccio da solo. Sono dei sospiri in attesa che l’Atelier acceleri la sua produzione.

Ho prodotto un po’ di lava, che gli umani che non vivono su di me hanno visto come un pericolo, ma vi assicuro che l’ho fatto solo per attirare l’attenzione dei media in modo che i progetti per il restauro siano un po’ più veloci.

Qualcuno mi ha ricordato che nel passato qualche incendio l’ho fatto anch’io; è la natura irruenta di noi vulcani che si sfoga ogni tanto, ma solitamente mi limitavo alle zone più alte delle mie pendici.

Quelli della fiction hanno invece pensato bene di accendere un fuoco proprio nella folta macchia che delimitava l’abitato, quella dove ancora sopravvivevano alberi ad alto fusto e dove moltissimi uccelli stavano nidificando.

A tutti gli umani, che in cerca di emozioni vengono per vedere le mie famose esplosioni, e non ad accendere inutili fuochi, rinnovo l’invito di venirmi a trovare.

 













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