Il Festival del contemporaneo 

Transart oggi al Noi con “Polar Force”

bolzano. Cosa si prova, cosa si sente, come ci si sente a stare chiusi in una sorta di igloo mentre fuori, ma soprattutto dentro, si scatenano le forze della natura, la natura selvaggia dell’Antartico...


Daniela Mimmi


bolzano. Cosa si prova, cosa si sente, come ci si sente a stare chiusi in una sorta di igloo mentre fuori, ma soprattutto dentro, si scatenano le forze della natura, la natura selvaggia dell’Antartico con i venti che soffiano e i ghiacci che si spezzano? È quello che proveranno gli spettatori che questa sera, giovedì 12 settembre alle 18.30, si chiuderanno dentro all’igloo istallato da Transart al Noi Techpark per il concerto/performance multisensoriale dal titolo “Polar Force”. È la prima europea della nuova performance multimediale di Eugene Ughetti, leader assoluto e fondatore della compagnia australiana Speak Percussion, che creerà suoni e atmosfere magiche, coadiuvato da Matthias Schack-Arnott, con il quale manovrerà strumenti ideati da loro per manipolare l’aria pressurizzata, il ghiaccio e l’acqua, fondendone i suoni a dei campionamenti registrati sul campo in Antartide. Eugene Ughetti, australiano con papà italiano, è percussionista, compositore, direttore e ha collaborato con nomi come Pierre Boulez, Steve Reich e John Zorn.

Lo abbiamo intervistato.

Come mai questa volta ha scelto il freddo, e il vento, e il ghiaccio?

Un mio collaboratore è stato due volte artist in residence nell’Antartico e ha fatto molte registrazioni del rumore del ghiaccio, e dell’acqua che corre sotto al ghiaccio.

Fa il percussionista in questo progetto?

Sì, ma non usiamo strumenti tradizionali, solo quelli creati da noi. Questa volta siamo più ricercatori scientifici che musicisti, ci muoviamo in un laboratorio di ricerca.

E cosa succede allo spettatore?

Tutti i suoni registrati vengono dalla natura. Sperimenteranno emozioni e sensazioni straordinarie, espressioni del mondo dell’Antartico. Si sentono i ghiacciai che cozzano uno contro l’altro, le voci degli animali come gli orsi o i gabbiani. Ci sentiamo tutti terribilmente piccoli di fronte e a questa enorme energia. E proviamo anche paura.

Polar Forse contiene un messaggio?

Parla della relazioni, dei sentimenti tra l’uomo e la natura. Adesso l’uomo vuole controllare la natura e ci sono i cambiamenti climatici. Vogliamo avere il caldo, la vita comoda, l’acqua calda, il wifi e questo ha un forte impatto sulla natura.

Lei è ottimista o pessimista sul futuro dell’uomo e della natura?

Normalmente sono un ottimista, ma penso che il mondo tra 50 anni sarà molto diverso. Ci saranno tanti cambiamenti e tante sofferenze.

Come mai ha scelto l’Italia e Transart per la prima europea di Polar Force?

Conosco questo festival da anni e questa è la prima occasione per lavorare insieme. Inoltre è la location perfetta, perchè è sulle Alpi. E l’altra ragione è che mio padre è italiano. – Speak Percussion ha 19 anni. Com’è cambiato nel tempo?

È cominciato come un gruppo tradizionale di percussionisti, poi gradualmente è diventato un progetto molto sperimentale e ambizioso. Il numero dei componenti varia da uno a 100. Adesso ci sono più donne che uomini.

E dopo Polar Forse?

Abbiamo tanti progetti, tra questi uno sulla colonizzazione e la storia complicata degli aborigeni che è un argomento molto sentito in Australia e un altro con le macchine da cucire...”















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